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La Locandiera - Carlo Goldoni



lunedì 17 dicembre 2007 legge Margaret Collina 

"Fra tutte le commedie da me sinora composte, starei per dire questa la più morale, la più utile, la più istruttiva […] venutomi in mente, che sogliono coteste lusinghiere donne, quando vedono ne’ loro lacci gli amanti, aspramente trattarli, ho voluto dar un esempio di questa barbara crudeltà…" E’ la voce di Carlo Goldoni, a proposito della sua Locandiera.
L’immagine che Mirandolina mostra di sé, ammiccando con il pubblico e con la storia, zittisce ogni commento critico sul suo personaggio: uno dei primi veri ritratti di donna “moderna” che il teatro ci ha offerto. Ce lo propone, col suo personalissimo stile, Margaret Collina, che anche quest’anno vuole così fare gli auguri di Natale alla Bottega.


Carlo Goldoni, La Locandiera, a cura di G. Davico Bonino, Torino, Einaudi, 2007.

L’AUTORE A CHI LEGGE

Fra tutte le Commedie da me sinora composte, starei per dire essere questa la più morale, la più utile, la più istruttiva. Sembrerà ciò essere un paradosso a chi soltanto vorrà fermarsi a considerare il carattere della Locandiera, e dirà anzi non aver io dipinto altrove una donna più lusinghiera, più pericolosa di questa. Ma chi rifletterà al carattere e agli avvenimenti del Cavaliere, troverà un esempio vivissimo della presunzione avvilita, ed una scuola che insegna a fuggire i pericoli, per non soccombere alle cadute.
Mirandolina fa altrui vedere come s'innamorano gli uomini. Principia a entrar in grazia del disprezzator delle donne, secondandolo nel modo suo di pensare, lodandolo in quelle cose che lo compiacciono, ed eccitandolo perfino a biasimare le donne istesse. Superata con ciò l'avversione che aveva il Cavaliere per essa, principia a usargli delle attenzioni, gli fa delle finezze studiate, mostrandosi lontana dal volerlo obbligare alla gratitudine. Lo visita, lo serve in tavola, gli parla con umiltà e con rispetto, e in lui veggendo scemare la ruvidezza, in lei s'aumenta l'ardire. Dice delle tronche parole, avanza degli sguardi, e senza ch'ei se ne avveda, gli dà delle ferite mortali. Il pover'uomo conosce il pericolo, e lo vorrebbe fuggire, ma la femmina accorta con due lagrimette l'arresta, e con uno svenimento l'atterra, lo precipita, l'avvilisce. Pare impossibile, che in poche ore un uomo possa innamorarsi a tal segno: un uomo, aggiungasi, disprezzator delle donne, che mai ha seco loro trattato; ma appunto per questo più facilmente egli cade, perché sprezzandole senza conoscerle, e non sapendo quali sieno le arti loro, e dove fondino la speranza de' loro trionfi, ha creduto che bastar gli dovesse a difendersi la sua avversione, ed ha offerto il petto ignudo ai colpi dell'inimico.
Io medesimo diffidava quasi a principio di vederlo innamorato ragionevolmente sul fine della Commedia, e pure, condotto dalla natura, di passo in passo, come nel la Commedia si vede, mi è riuscito di darlo vinto al fine dell'Atto secondo.
Io non sapeva quasi cosa mi fare nel terzo, ma venutomi in mente, che sogliono coteste lusinghiere donne, quando vedono ne' loro lacci gli amanti, asprarmente trattarli, ho voluto dar un esempio di questa barbara crudeltà, di questo ingiurioso disprezzo con cui si burlano dei miserabili che hanno vinti, per mettere in orrore la schiavitù che si procurano gli sciagurati, e rendere odioso il carattere delle incantatrici Sirene. La Scena dello stirare allora quando la Locandiera si burla del Cavaliere che languisce, non muove gli animi a sdegno contro colei, che dopo averlo innamorato l'insulta? Oh bello specchio agli occhi della gioventù! Dio volesse che io medesimo cotale specchio avessi avuto per tempo, che non avrei veduto ridere del mio pianto qualche barbara Locandiera. Oh di quante Scene mi hanno provveduto le mie vicende medesime!... Ma non è il luogo questo né di vantarmi delle mie follie, né di pentirmi delle mie debolezze. Bastami che alcun mi sia grato della lezione che gli offerisco. Le donne che oneste sono, giubileranno anch'esse che si smentiscano codeste simulatrici, che disonorano il loro sesso, ed esse femmine lusinghiere arrossiranno in guardarmi, e non m'importa che mi dicano nell'incontrarmi: che tu sia maledetto!
Carlo Goldoni

LA LOCANDIERA- atto primo


Scena nona

MIRANDOLINA
Uh, che mai ha detto! L'eccellentissimo signor marchese Arsura mi sposerebbe? E pure se mi volesse sposare, vi sarebbe una piccola difficoltà. Io non lo vorrei. Mi piace l'arrosto, e del fumo, non so che farne. Se avessi sposati tutti quelli, che hanno detto volermi, oh, averei pure tanti mariti! Quanti arrivano a questa locanda, tutti di me s'innamorano, tutti mi fanno i cascamorti; e tanti, e tanti mi esibiscono di sposarmi a dirittura. E questo signor Cavaliere, rustico come un orso, mi tratta sì bruscamente? Questi è il primo forestiere capitato alla mia locanda, il quale non abbia avuto piacere di trattare con me. Non dico, che tutti in un salto s'abbiano a innamorare; ma disprezzarmi così? è una cosa, che mi muove la bile terribilmente. È nemico delle donne? Non le può vedere? Povero pazzo! Non averà ancora trovato quella, che sappia fare. Ma la troverà. La troverà. E chi sa, che non l'abbia trovata? Con questi per l'appunto mi ci metto di picca. Quei, che mi corrono dietro, presto presto m'annoiano. La nobiltà non fa per me. La ricchezza la stimo, e non la stimo. Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne. A maritarmi non ci penso nemmeno; non ho bisogno di nessuno; vivo onestamente, e godo la mia libertà. Tratto con tutti, ma non m'innamoro mai di nessuno. Voglio burlarmi di tante caricature d'amanti spasimati; e voglio usar tutta l'arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari, e duri, che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura.

Scena decima

MIRANDOLINA
Ma che credi tu ch'io mi sia? Una frasca? Una civetta? Una pazza? Mi maraviglio di te. Che voglio fare io dei forestieri, che vanno, e vengono? Se gli tratto bene, lo fo per mio interesse, per tener in credito la mia locanda. De' regali non ne ho bisogno; per far all'amore? Uno mi basta; e questo non mi manca; e so chi merita, e so quello, che mi conviene. E quando vorrò maritarmi... mi ricorderò di mio padre. E chi mi averà servito bene, non potrà lagnarsi di me. Son grata. Conosco il merito... Ma io non son conosciuta. Basta, Fabrizio, intendetemi, se potete.



Scena quindicesima

MIRANDOLINA
Che dice della debolezza di quei due cavalieri? Vengono alla locanda per alloggiare, e pretendono poi di voler far all'amore colla locandiera. Abbiamo altro in testa noi, che dar retta alle loro ciarle. Cerchiamo di fare il nostro
interesse; se diamo loro delle buone parole, lo facciamo per tenerli a bottega, e poi, io principalmente quanto vedo che si lusingano, rido come una pazza.

MIRANDOLINA
Io fingere? Guardimi il Cielo. Domandi un poco a quei due signori, che fanno gli spasimati per me, se ho mai dato loro un segno d'affetto. Se ho mai scherzato con loro in maniera, che si potessero lusingare con fondamento. Non gli strapazzo, perché il mio interesse non lo vuole, ma poco meno. Questi uomini effemminati non gli posso vedere. Siccome abborrisco anche le donne, che corrono dietro agli uomini. Vede? Io non sono una ragazza. Ho qualche annetto; non son bella, ma ho avuto delle buone occasioni; eppure non ho mai voluto maritarmi, perché stimo, infinitamente la mia libertà.

Scena ventitreesima

MIRANDOLINA
Con tutte le sue ricchezze, con tutti li suoi regali, non arriverà mai ad innamorarmi; e molto meno lo farà il Marchese colla sua ridicola protezione. Se dovessi attaccarmi ad uno di questi due, certamente lo farei con quello, che spende più. Ma non mi preme né dell'uno, né dell'altro. Sono in impegno d'innamorar il cavaliere di Ripafratta, e non darei un tal piacere per un gioiello il doppio più grande di questo. Mi proverò; non so, se averò l'abilità, che hanno quelle due brave comiche, ma mi proverò. Il Conte, ed il Marchese frattanto, che con quelle si vanno trattenendo mi lasceranno in pace; e potrò a mio bell'agio trattar con il Cavaliere. Possibile ch'ei non ceda? Chi è quello, che possa resistere ad una donna, quando le dà tempo di poter far uso dell'arte sua? Chi fugge non può temer d'esser vinto, ma chi si ferma, chi ascolta, e se ne compiace, deve, o presto, o tardi a suo dispetto cadere.


Atto secondo

Scena ottava

Mirandolina: Faccio un brindisi, e me ne vado subito. Un brindisi che mi ha insegnato mia nonna.
Viva Bacco, e viva Amore:
L'uno e l'altro ci consola;
Uno passa per la gola,
L'altro va dagli occhi al cuore.


Bevo il vin, cogli occhi poi...
Faccio quel che fate voi.


Atto terzo

Scena tredicesima

Mirandolina (sola): Oh meschina me! Sono nel brutto impegno! Se il Cavaliere mi arriva, sto fresca. Si è indiavolato maledettamente. Non vorrei che il diavolo lo tentasse di venir qui. Voglio chiudere questa porta. (Serra la porta da dove è venuta.) Ora principio quasi a pentirmi di quel che ho fatto. È vero che mi sono assai divertita nel farmi correr dietro a tal segno un superbo, un disprezzator delle donne; ma ora che il satiro è sulle furie, vedo in pericolo la mia riputazione e la mia vita medesima. Qui mi convien risolvere quelche cosa di grande. Son sola, non ho nessuno dal cuore che mi difenda. Non ci sarebbe altri che quel buon uomo di Fabrizio, che in tal caso mi potesse giovare. Gli prometterò di sposarlo... Ma... prometti, prometti, si stancherà di credermi... Sarebbe quasi meglio ch'io lo sposassi davvero. Finalmente con un tal matrimonio posso sperar di mettere al coperto il mio interesse e la mia reputazione, senza pregiudicare alla mia libertà.

Scena diciottesima

Mirandolina: Il signor cavaliere innamorato di me? Egli lo nega, e negandolo in presenza mia, mi mortifica, mi avvilisce, e mi fa conoscere la sua costanza e la mia debolezza. Confesso il vero, che se riuscito mi fosse d'innamorarlo, avrei creduto di fare la maggior prodezza del mondo. Un uomo che non può vedere le donne, che le disprezza, che le ha in mal concetto, non si può sperare d'innamorarlo. Signori miei, io sono una donna schietta e sincera: quando devo dir, dico, e non posso celare la verità. Ho tentato d'innamorare il signor Cavaliere, ma non ho fatto niente

Mirandolina: Grazie, signori, non ho bisogno di dote. Sono una povera donna senza grazia, senza brio, incapace d'innamorar persone di merito. Ma Fabrizio mi vuol bene, ed io in questo punto alla presenza loro lo sposo...


Scena ultima

Mirandolina: Queste espressioni mi saran care, nei limiti della convenienza e dell'onestà. Cambiando stato, voglio cambiar costume; e lor signori ancora profittino di quanto hanno veduto, in vantaggio e sicurezza del loro cuore; e quando mai si trovassero in occasioni di dubitare, di dover cedere, di dover cadere, pensino alle malizie imparate, e si ricordino della Locandiera.