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Il filo di seta - Piero Giorgi



lunedì 07 febbraio 2005 legge Wolfango Horn
Una narrazione storica, anzi, scientifica. Piero Giorgi, docente di storia della medicina all' Università del Queensland (Australia), ripercorre attraverso la curiosità del personaggio di Alessandra Ziliani, assistente del grande Mondino de’ Liuzzi nello Studio Anatomico Bolognese del Trecento, le vicende, le appassionate discussioni su temi che nel medioevo erano (e sono ancora adesso) molto importanti: il ruolo dell' università, la riproduzione, il rapporto tra corpo ed anima, tra corpo e mente, e tra autorità e pace sociale. Fino a mettere in questione premesse biomediche e politiche accettate anche ai nostri giorni.
Ed ecco gli appassionati dialoghi con personaggi storici come il medico bolognese Mondino de' Liuzzi (ob. 1326), il giovane Francesco Petrarca in visita a Bologna e Venezia, Marco Polo, lo scrittore domenicano Pipino da Bologna, Marsilio da Padova, il medico francese Guy de Chauliac e la nobile pistoiese Selvaggia Vergiolesi.
Il filo conduttore dell' opera, originale e sottile, è appunto la seta, prodotto importante nell' industria bolognese del medioevo. Altro elemento unificante nelle discussioni è la Divina Commedia di Dante che cominciava allora ad essere conosciuta tra gli intellettuali. 
Il lettore della serata è Wolfango Horn, biologo, ricercatore in Arpa Emilia Romagna della relazioni tra ambiente e cancro, informatico esperto di tecniche di ricerca di informazioni bibliografiche e scientifiche in Internet.


IL FILO DI SETA di Piero Giorgi

Minerva E&S, Brisbane, Australia, 2003. pp. 254, in brossura con copertina a colori



Prima Parte - Quelli di Lucca
Dove il setaiolo Nerino Zilliani fugge a Bologna dopo il sacco di Lucca e la sua bambina Alessandra incontra per caso il grande medico Mondino De’ Liuzzi, ma anche gli aspetti cruenti della medicina (settembre 1314)

Le guardie di Porta Stiera sono state all'erta tutto il giorno. C'è un'aria d'aspettativa, di sospetto, d'eccitazione in Bologna. Dieci giorni fa il Capitano del Popolo ha annunciato l'arrivo di molti profughi toscani. Pare che ora siano poco lontano dalla città. Brava gente, alcuni anche ricchi, tutti scacciati da Lucca dopo gli scontri con i pisani ed il sacco della città inflitto dalle truppe di Uguccione della Faggiola.
"Ci porteranno via il commercio" brontola un vecchio negoziante.
"Dicono che le donne di Lucca siano bellissime" confida uno studente di legge al suo amico.
"Quanti sono?"
"Mille, dicono."
"Mille? Dove li mettiamo?"
È appena arrivato un mercante da Porretta che li ha visti mentre attraversavano Casalecchio. Hanno i carri strapieni di masserizie, sono stanchi ma continuano a camminare per arrivare prima che faccia buio.
Sono molto meno di mille. L'accordo stipulato con i bolognesi specifica venti famiglie, nessun armato e prestiti speciali per le spese di sistemazione. La Compagnia dell'Arte della Seta ha accettato l'entrata degli artigiani lucchesi che porteranno i segreti di nuovi metodi di lavorazione per i macchinari bolognesi.
"Uguccione si pentirà d'averli scacciati. Bologna diventerà un grande mercato della seta." L'arringa di Bonincontro dei Boatieri alla riunione dei Trecento convinse i bolognesi e l'accordo si fece.
Ma adesso che gli stranieri stanno arrivando, paura e diffidenza affiorano in un popolo abituato ad ospitarne di tutti i generi nello Studio, ma solo per qualche anno, mentre imparano legge e medicina. Questi vengono per restare, con gli stessi diritti dei cittadini bolognesi.
"Eccoli! Sono laggiù alla curva di San Francesco!" Pietro Villola, un giovane apprendista cartolaio, si sbraccia sulle mura gesticolando, puntando il dito verso la campagna, saltellando attorno alle guardie che si dirigono verso le scale per scendere.
Suona la tromba di Porta Stiera, escono i cavalli dalle scuderie, qualcuno corre a chiamare Alberto Palavicini.
"Capitano, arrivano ... arrivano!"
Molti bolognesi sanno bene cosa voglia dire esser banditi dalla propria città. Dopo decenni di lotte tra le fazioni dei Geremei e dei Lambertazzi, famiglie intere sono fuggite a Faenza o Ferrara, le loro case rase al suolo, i domestici abbandonati a se stessi. I banditi sono malvisti nelle città straniere. Vivono in ghetti separati, ossessionati dalla propria diversità, cullandosi nell'illusione di una superiorità eretta in difesa contro gli altri più numerosi. Alcuni invece s'integrano subito nella cultura degli ospiti, esplorando costumi diversi ed imitandoli. Se perdonati, questi ultimi ritornano nella propria città per poi diventare stranieri in patria, in un loro ghetto di diversità autoimposta. Minoranze politiche bandite e perdonate, eretici, intellettuali scomodi, studenti itineranti e commercianti avventurosi, si spostano di città in città, ignari del loro ruolo nella diversità culturale e nell'evoluzione dei costumi e delle idee.
È il tardo pomeriggio di una bella giornata di autunno, verso la fine di settembre dell'anno 1314. Alle redini del suo carro tirato da due buoi, Nerino Zilliani si preoccupa per la figlia che cammina avanti:
"Non sei stanca, Bruchina? Torna qui su. Ti perderai quando ci ammasseremo davanti alle porte della città. Alessandra! Stai qui, non allontanarti."
Le esortazioni del setaiolo lucchese non servono a richiamare la ragazzina che vuole vedere le mura della famosa Bologna, la città di cui si è parlato tanto durante le giornate ansiose della partenza e quelle affascinanti del viaggio che sta terminando. I grandi boschi di castagno sulle colline tra Lucca e Porretta, i ruscelli con i gamberi e le trote, le lunghe notti passate all'aperto vicino al fuoco tra le braccia del padre che piangeva. Ha solo dodici anni e sta vivendo un sogno insperato: viaggiare ai confini del mondo, cioè oltre le colline di Lucca, per raggiungere le favolose terre di Bologna, dove vivono i saggi con i loro studenti, dove lavorano i fabbricanti di canapa, da dove San Domenico esortò i suoi frati a predicare in tutto il mondo.
I lucchesi sono finalmente arrivati ed hanno passato la prima notte accampati subito fuori le mura, protetti da alcuni armati del Comune. Qualche testa calda dei Lambertazzi avrebbe potuto molestarli. Ma non è successo niente e le prime luci del mattino trovano molti già svegli e curiosi della loro nuova patria.
Specialmente i bambini si aggirano nei dintorni in piccoli gruppi.
Alcuni corrono indietro a raccontare che le case, la gente e l'odore del pane sono come a Lucca. I servi al seguito dei lucchesi cercano di procurarsi del cibo dai primi commercianti che aprono bottega. Uno di loro comincia a raccontare ai suoi compagni:
"Anni fa mio cugino, sapete quello alto e grosso, dovette accompagnare un commerciante di tessuti fino a Bologna. Quando tornò ci diceva che qui tutti sono liberi. Forse non è vero... però sarebbe strano non avere un padrone ..."
Alessandra si è alzata all'alba, è scivolata fuori dal carro mentre suo padre dormiva ancora; si è dapprima unita agli altri bambini curiosando poco lontano, poi ha seguito i primi mercanti di verdura che stavano entrando in città. Ora si trova all'ingresso di una delle case degl'Isolani ed un vecchio scalpellino la ferma:
"Allora, dove crede di andare questa vagabonda?"
"Cerco gli alberi, i gelsi ..." II vecchio smette di ammucchiare ciottoli e comincia a ridere di buon gusto. Ride cosi forte che Alessandra si nasconde dietro una delle colonne di legno del porticato esterno.
È un tronco enorme di quercia rossa, squadrato, sostenuto da una base di selenite ed incastrato in alto con due grosse travi oblique, come braccia tese per sostenere un cielo buio di legno. Non ha mai visto un soffitto cosi alto. Monta sulla base di roccia, abbraccia il grosso legno, vi appoggia il viso contro e rimane così incantata da questa strana foresta. L'orecchio appoggiato all'antico tronco percepisce fantasie vere per la giovane mente aperta a verità fantastiche. Alessandra sente il fruscio del vento fra le dure foglie lobate delle querce, rumori trasmessi dalla nebbia della campagna, i canti di primavera dei contadini, quelli notturni degli usignoli... poi due grossi colpi d'accetta.
Una mano sicura ha picchiato sulla colonna e ha rotto l'incantesimo.
"Buon giorno."
Alessandra guarda sorpresa l'uomo che le è apparso di fianco e l’ha salutata. Restano tutti e due in silenzio per un po', incuriositi. Mondino si chiede cosa faccia una giovane di buona famiglia in giro all'alba e da sola. La cuffia di lana ricamata che nasconde solo parte dei riccioli castani, la veste di lino bianco con il petto e le spalle decorati da un piccolo lavoro di seta verde e le scarpe di pelle tenera non sono certo di una contadina del mercato delle verdure. Lo sconosciuto ricorda ad Alessandra il medico che veniva in casa dal nonno, poco prima che morisse. Anche lui aveva una veste lunga fino ai piedi, le maniche larghe e pendenti che nascondevano un cestello con una boccetta di vetro.
"Sei figlia degl'Isolani?"
"No."
"Cosa fai qui da sola?"
"Ascoltavo questo tronco. Deve essere stato un albero bellissimo
"Ma gli alberi non parlano ..."
"Sì che parlano, sono come noi. Nascono, crescono, si nutrono dalla terra e mi parlano."
"Ma guarda un po', una giovane filosofa" Mondino osserva Alessandra divertito ed è contento di sentire una parlata toscana, simile a quella di suo nonno Albizio. Poi si fa serio ed abbassa gli occhi verso la base della colonna come se leggesse dai riflessi misteriosi della selenite:
"Homo fuit staturae erectae, propter quod vocatur plantenus. È vero, noi siamo come piante rovesciate: ci nutriamo con la nostra estremità superiore. Ma le piante non hanno un'anima sensitiva, come gli animali e l'uomo."
"Le piante piccole forse no, ma gli alberi sentono ... voglio dire, sono sensibili." Alessandra non sa che sta contraddicendo un illustre insegnante dello Studio bolognese e continua:
"Quando tagliano i rami ai gelsi ... loro piangono ... lacrime attorno alla ferita... Ah, poi ci sono i fiori dei meli che si aprono la mattina quando s'alza il sole e si richiudono al tramonto."
Mondino ascolta perplesso quella ragazzina che lo guarda dritto negli occhi, allo stesso livello, in piedi sulla roccia di selenite, appoggiata alla grande colonna di legno. Essa parla in modo sommesso, cercando le parole, ma con quella sicurezza di chi non sa di non sapere, ma sa cos'ha imparato dalla vita. Per un momento smette d'ascoltarla, distratto dal ricordo rassicurante di uno scritto di Avicenna. Poi ritorna alla realtà. Anche lui ha dei bambini:
"Come ti chiami? Dov'é la tua famiglia?"
"Mi chiamo Alessandra, di Nerino Zilliani. Mio padre è laggiù con i lucchesi. Siamo arrivati ieri sera."
"Ah, certo, il vostro arrivo ha creato un gran trambusto in città. Bene, adesso ti riporto dalla tua gente. Ti staranno cercando."
Mondino aiuta la bambina a scendere da quella cattedra improvvisata, la prende per mano e s'avvia in direzione della via Salaria che li porterà verso le mura. Alessandra lo segue contenta perché ha fame e spera di trovare pane ed olio al suo ritorno.
Mentre camminano lungo il terrapieno delle mura Alessandra chiede a Mondino se è un medico. Quella ragazzina che osserva, ragiona e non rispetta le convenzioni lo mette un po' a disagio, ma lo incuriosisce anche, e l'accontenta per capirla meglio.
"Anche il mio avo Rainerio venne a Bologna dalla Toscana, ma da una piccola località sulle colline vicino a Firenze. Conosceva i segreti delle piante medicinali e suo figlio Albizio, mio nonno paterno, iniziò un commercio di spezie ed erbe curative. Ora abbiamo una spezieria non lontano di qui. Ieri sera ho preparato un decotto per la febbre del vecchio Isolani e sono restato con lui tutta la notte."
"Come fate a conoscere le malattie e le cure?"
"Ho imparato da mio zio Liuzzo, che è medico anche lui, e dai maestri dello Studio di Bologna che mi hanno spiegato i libri di Avicenna e Galeno..."
"Chi sono?"
"Grandi medici del passato ..."
"Più bravi di voi?"
"Molto, molto più saggi ed istruiti..."
"Ma voi avete letto i loro segreti, cosi sapete quello che sapevano loro."
Mondino continua a camminare in silenzio senza replicare. Le parole di Alessandra hanno rievocato ricordi studenteschi non lontani di entusiasmi, sofferenze, illusioni e successi: la passione contagiosa di Liuzzo per la medicina, gli occhi che bruciano dopo ore sui manoscritti illuminati da una candela troppo piccola, la sensazione di tenere il mondo in pugno dopo la cerimonia di laurea, i complicati trattamenti curativi preparati in bottega, la speranza negli occhi dei malati, le lunghe dissezioni anatomiche sui cadaveri e la devozione degli studenti che trascrivono lezioni e discutono quaestiones con lui. Fragili sicurezze e dubbi robusti punteggiano la carriera dei maestri medici: le autorità del passato non sempre in accordo, gli studenti troppo devoti o troppo arroganti, e l'informazione criptica nella pratica giornaliera. II tutto deve essere nascosto dentro le larghe maniche della veste medica e recuperato al momento adatto, in proporzioni giuste e con qualche parola in latino per dar sicurezza agli altri ed a se stessi.
"No, non so tutto quello che sapevano loro. E tu cosa fai tutto il giorno?" Mondino vuole evadere dai propri pensieri; Alessandra rimane sorpresa da questa domanda, poi stringe la mano del medico più forte e tira un gran sospiro:
"Aiuto mio padre a fare la seta. lo faccio crescere i bachi e mi occupo delle farfalle."
"La seta! Lo sapevo che c'era qualcosa di speciale in te. Certo ... la seta. La seta è speciale; non è come il lino che copre soltanto; la seta danza sul corpo. È come se fosse viva."
Mondino comincia a capirla e si sente più a suo agio.
"Allora tuo padre è un setaiolo lucchese. Fará buoni affari a Bologna."
"No, non può fare la seta qui: non ci sono i gelsi in questa città.
"Certo, certo che ci sono i gelsi e anche di buonissima qualità. Ma non dentro le mura, dove curiosavi tu. Sono fuori, in pianura ed in collina."
La buona notizia rallegra Alessandra che accelera il passo, anche perché ha intravisto la piazzetta dove sono sistemati i carri dei lucchesi.
Ada, la nutrice di Alessandra, vede arrivare la piccola di lontano e tira un sospiro di sollievo. Ma fa finta di essere arrabbiata quando Alessandra le corre incontro:
"Adesso vedrai cosa ti dice tuo padre. Dove eri scappata?"
Mondino riassicura la donna:
"Non sgridatela; curiosava in città. Portatemi da messer Zilliani per favore. Vorrei conoscerlo."
In verità Nerino Zilliani non si era particolarmente preoccupato per la breve scomparsa della figlia, abituato com'era all'irrequietezza di Alessandra ed al suo carattere indipendente. Ma ora si domanda chi sia il personaggio distinto che l'accompagna.
"Grazie messere per averci riportato Alessandra. Come vi chiamate?"
"Sono Mondino de' Liuzzi, medico di Bologna e dottore dello Studio. Ho incontrato vostra figlia per caso ed abbiamo avuto una piacevole conversazione. È certo una ragazzina sveglia, anche un po' impertinente direi."
"Lo so, lo so bene io, che ho dovuto allevarla da solo. Purtroppo la sua mamma morì molto presto, e senza una madre a controllarla si è abituata a dire quello che le pare. La sua nutrice poi l'incoraggia in tutti modi..." Ada reagisce:
"Ah, buona questa! Se c'é qualcuno che la vizia siete proprio voi, messer Nerino."
"Ecco, vedete anche voi maestro, è difficile quando tutti sono contro di voi... Ma non dovremmo annoiarvi con le nostre ciance. Sedetevi qui e bevete un po' di latte con noi."
Dopo essersi chiuso in un dolore interno durante tutto il viaggio, Nerino ha bisogno di sfogarsi. Ora che la meta è stata raggiunta ed i bolognesi sembrano essere ben disposti verso i profughi, vuole raccontare al medico la sua avventura. Mondino è stanco dopo una notte al capezzale del vecchio Isolani e si concede una pausa in compagnia di un uomo con cui ha in comune la passione per la propria arte, ma anche l'esperienza della persecuzione politica e del confino. I due uomini si siedono vicino al carro, confortati dall'odore del latte caldo, disturbati dai loro ricordi e divertiti dalla fame infantile di Alessandra che si sta godendo pane ed olio.

Terza Parte - La lezione di anatomia
Dove Alessandra presenta la sua prima scoperta in pubblico, diventa un chierico per frequentare lo Studio e diventa donna durante un incontro drammatico con l’utero (agosto 1317-gennaio 1318)

Alessandra si alza, va a riporre il libro sopra la madia del pane, torna nel camino e si accoccola di fianco ad Ada.
"Ti ricordi di quello studente catalano che ci aiutava con i bachi quella mattina in agosto?"
"Si, Alberto da Maiorca, mi ricordo."
"L’ho rivisto per caso, al mercato della seta, subito dopo che parlammo alla Compagnia."
"Cosa faceva là?"
"II facchino, per guadagnarsi un po' di denaro, per comprarsi i libri, penso."
"O per pagarsi le bisbocce, forse"
"No, non credo. Mi sembra una persona sincera, con qualcosa dentro, diverso dagli altri studenti..." Ada le prende il viso tra le mani.”
"II giovane Alberto ti piace, eh?" Alessandra sorride divertita "No, no. Sì, certo è simpatico. Ma non è quello che pensi. Ho un problema più grande, più difficile di un piccolo innamoramento." Ada si siede dritta ed assume un'aria volutamente grave.
"Una giovane dolce ed intelligente di quindici anni ha il diritto di avere solo dei problemi di cuore e d'interpretazione di Bacone. Nient'altro deve oscurare la tua mente."
"La mia mente non è oscurata, non preoccuparti. Devo solo inventare una cosa difficile. È tanto che ci penso."
"Qualcosa di difficile? Allora andiamo bene: raccontami e la facciamo assieme."
"Voglio andare nello Studio, assistere alle lezioni di Mondino de' Liuzzi e seguire una dissezione del cadavere." Ada quasi cade dal sedile del camino.
"Andare a lezione? Le dissezioni anatomiche? Ma tu sei matta! Ma ... ma ti rendi conto di quello che dici? E poi è impossibile."
"Lo so, è difficile."
"No, è impossibile."
"E' solo difficile. Dovrò vestirmi da maschio."
"Ma non pensarci nemmeno. È pericoloso, è stupido, è inutile."
Alessandra non dice niente. Aspetta solo che Ada si calmi, sperando che poi l'aiuterà. In ogni caso ha deciso, nel momento stesso in cui ha trovato il coraggio di confidare la sua segreta ambizione alla nutrice, ha capito che il suggerimento pazzo di Alberto è diventato una necessità inevitabile, qualcosa scritto nelle stelle, già una realtà.
"Io non so cosa ti abbia preso." Ada si alza e cammina lentamente nella cucina. In quel momento entra Caterina, la cuoca.
"Spengo il fuoco?" Ada trasalisce:
"No Caterina. Facciamo noi. Vai pure a letto, buona notte
Ada guarda preoccupata Alessandra, che gioca tranquillamente con le ultime fiammelle fra le braci. La sua bambina vuole uscire dal comodo mondo della medicina femminile che Ada ha appena cominciato a costruirle attorno. Una curiosità pericolosa, quella di Alessandra. Se viene scoperta alle lezioni dello Studio, è la fine dei progetti bolognesi della famiglia Zilliani; se si lascia coinvolgere dalla medicina maschile, è la fine dei sogni di Ada. Sarebbe stato molto più facile se si fosse infatuata di uno studente scapestrato.
“Ho capito, bambina mia. Anch'io ho sempre avuto la curiosità di vivere da vicino quello che succede negli Studi. Facciamo così: adesso andiamo a letto e ci dormiamo sopra, e domani ne riparliamo."
Nessuna delle due donne ha dormito bene questa notte. All'alba Alessandra prega vicino alla finestra della sua stanza:
"Forza d'Amore che hai creato e mantieni l'universo, io amo il mio caro padre, la mia nutrice benedetta, il caro Ferro, i miei bruchini deliziosi, i miei preziosi libri, i nostri famigli e lavoranti, tutte le persone del mondo, gli esseri viventi, l'acqua ed i sassi.”
Questa è la preghiera che Alessandra sussurra tra sè ogni mattina. Ada si è accorta in passato di questa preghiera che non chiede e non ringrazia, ma non ha mai voluto parlarne. Oggi, poi, ha ben altre cose in mente.
"Vieni Alessandra, facciamo due passi per salutare il sole di questa mattina. Copriti bene, è freddo."
Le due donne si siedono su di un muretto vicino al canale del Savena con un paio di mele per colazione. Alessandra non sembra meravigliata di quello che sente:
"Vedi, non basta tagliarsi i capelli e mettersi un saio da chierico. Bisogna anche sporcarsi un po' il viso, imparare le smorfie che fanno gli uomini, parlare con una tonalità di voce bassa, camminare con le gambe più aperte e con un passo pesante. Non sarà facile. Bisogna che tu ti alleni bene."
"Ho già osservato Gino. Adesso ti faccio vedere."
Ada si diverte a controllare e correggere l'imitazione che Alessandra fa di un ragazzo e passano tutt'e due un'oretta scherzando e ridendo, mentre stanno invece preparando un piano difficile e pericoloso. Alessandra frequenterà le lezioni di anatomia, Ferro sarà il suo inserviente e, con l'aiuto di Dio, messer Zilliani non ne saprà niente e nessuno nello Studio scoprirà chi sia veramente quel giovane studente di Pistoia.
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Mondino continua la dissezione. Gli organi della cavità addominale degenerano per primi e non bisogna perder tempo, per poter eliminarli durante il primo giorno di dissezione, anche se le giornate fredde d'inverno contribuiscono a ritardare la putrefazione del cadavere. Sarà una giornata lunga e faticosa per tutti. Alessandra approfitta del fatto che i suoi colleghi sono tutti più alti di lei per stare in prima fila, molto vicino all'organo che viene dissezionato. Alberto le sta sempre di fianco o dietro, cercando d'impedire agli altri di avvicinarsi troppo ed avere così la possibilità di osservarla meglio. Non è per niente tranquillo, ma tutto sembra procedere per il meglio. Gli studenti sono troppo presi da una dissezione eccezionale per pensare ad altro.
È ormai pomeriggio, tra poco la campana di San Procolo suonerà la nona ora. La dissezione della cavità addominale sta volgendo al termine. Resta da fare lo studio dell'utero e della vescica. Alessandra è molto stanca. Le secca di essere stanca. S'aspettava di essere la più forte, la più brava di tutti. Invece le gira un po' la testa e l'odore dei visceri e del loro contenuto le da' un po' di nausea. Le gambe sono stanche. La matita sanguigna scivola male sulla pergamena imbrattata qua e là di sangue. Ma Ottone continua la descrizione dell'utero, che egli ha già rimosso e tiene in mano.
"Come avete sentito ieri dal maestro Mondino, la dimensione dell'utero dipende da vari fattori. Questa donna ha un utero abbastanza grande, cosi possiamo osservare meglio la sua struttura interna tagliandolo a metà. Ecco, vedete, il suo orifizio e la sua cavità. La sua bocca è molto fibrosa e fatta come la bocca di una grossa tinca. La sua cavità ha sette cellette, tre nella parte destra, tre nella sinistra ed una alla sommità, cioè nel mezzo. In queste cellette lo sperma può coagularsi con il sangue mestruale…”
"Scusate, maestro, ma io non riesco a vederle queste cellette." Alessandra allunga il collo verso l'utero aperto sul palmo della mano di Ottone, per vedere meglio queste famose concamerazioni dove avviene il miracolo dell'incontro tra materiale maschile e femminile, ma non le vede. Alberto le dà una gomitata, sperando di dissuaderla dal mettersi troppo in mostra ma senza successo.
"Vedo la cavità in mezzo, ma non le altre." Alessandra insiste nella sua curiosità. Ottone scruta per un po' l'organo e poi si volge verso Mondino.
" È vero, non si vedono bene le cellette in questo utero. Come sarà?"
"Michele Scoto ha descritto la struttura dell'utero nel settimo libro del suo De secretis mulieribus. Le cellette sono sette." Dichiara Mondino dallo scranno in cui si sta riposando in un angolo dalla stanza. Alessandra gli si avvicina:
"Ma qui non si vedono." Mondino si trova di nuovo di fronte ad Alessandra, la quale mette di nuovo in dubbio asserzioni scolastiche, lì in piedi di fronte a lui che è seduto; si trovano di fronte e alla stessa altezza, proprio come quando s'incontrarono quattro anni fa fuori dalla casa degli Isolani. Questa volta il ricordo della piccola lucchese ritorna limpidissimo.
"Come vi chiamate pure voi? Siete di Lucca vero?" Alessandra rimane come gelata per un momento, poi fa un passo indietro e risponde con la voce più profonda che può:
"No sono di Pistoia; mi chiamo Alessandro. Mi sbaglio certamente, maestro; scusatemi, vado a guardare meglio."
"No, lasciate perdere. A volte il cadavere si decompone prima di finire la dissezione della cavità addominale e non si possono più vedere i dettagli delle strutture piccole. Siamo tutti stanchi. Finiamo con l'utero e la vescica e andiamo a riposare."
Mondino segue con l'angolo dell'occhio il giovane studente che torna al tavolo di dissezione ed aggiunge: "Venitemi a trovare la settimana prossima, messer Alessandro. Vi farò vedere un'illustrazione nel manoscritto dello Scoto, dove sono riprodotte le cellette dell'utero."
"Grazie, maestro, verrò volentieri."

Parte Nona - L'altro mondo
Dove Alessandra si trasferisce in un mondo nonviolento con suo figlio Giovannino, diventa amica della signora di Sambuca e scopre l’informazione biologica femminile in una gallina (ottobre 1324-aprile 1325)

"Vieni Giovanni, abbiamo ancora molto da camminare." Alessandra vuole arrivare a destinazione in tempo, prima di essere sorpresi dal vento di tramontana che in ottobre può esser molto freddo su queste montagne. Prende il bambino per mano e continua a salire la strada costeggiata da castagni da una parte e cespugli di ginepro dall'altra.
"Mamma, io non la vedo Sambuca. E' perché sono troppo piccolo?"
"Macché. Hai quasi tre anni: sei un gigante. Guarda quella lucertola; quella sì che è piccola. Sambuca apparirà fra poco, all'improvviso, lassù nel cielo. Siamo circa a metà strada."
Alessandra ha già percorso questa strada dietro al carro che trasportava il suo papà morto. Messer Nerino se ne andò all'improvviso l'anno scorso; forse la gotta, forse la poca voglia di vivere. Fu una sorpresa per tutti, ma non per Ada, scoprire dal suo testamento che voleva essere seppellito nel cimitero di Sambuca. In quella cittadina di montagna, un nido d'aquila sulle montagne pistoiesi, era nata la sua mamma. In occasione di una delle sue cure termali a Porretta, Nerino aveva fatto visita al parroco per organizzare tutti gli aspetti pratici della propria sepoltura.
Stranamente, quel primo viaggio a Sambuca fu per Alessandra un'esperienza piacevole. Si ricordò del lungo viaggio da Lucca a Bologna che fece da bambina assieme a lui. I boschi di castagno l'accolsero di nuovo con i grossi alberi sparsi, il sottobosco misterioso, il silenzio. Rivisse l'entusiasmo infantile del viaggio e della novità. Fu proprio mentre la cassa scendeva nella terra, mentre il sacerdote recitava la preghiera della morte, che Alessandra sentì che quello era il luogo della vita, l'altro mondo che cercava. Sentì il diaframma premere verso l'alto, e il fiato s'arrestò per qualche secondo. Poi tutto il mondo nuovo precipitò nei suoi polmoni: l'essenza di ginepro, l'odore delle capre, la pace, la gente, i sassi delle case di Sambuca. Questo sarà il luogo dove crescerà il suo Giovannino.
II piccolo era nato nove mesi dopo la raccolta di erbe lungo il Ravone con Guido da Chauliac. I due innamorati furono molto felici del suo arrivo, e Guido lo riconobbe con un atto notarile. Ma si trovarono anche d'accordo sul fatto che il loro futuro non si muoveva nella stessa direzione. Dopo un anno di studi a Bologna, Guido è tornato in Francia per iniziare la carriera di chirurgo, e da allora si è tenuto in contatto epistolare con Alessandra che lo informa dei progressi del loro figlio. Sono lettere lunghe ed intense, piene di dolci ricordi, discussioni mediche, rapporti pediatrici, considerazioni filosofiche ed ancora dolci ricordi.
"Eccola! Guarda, Sambuca è lassù. C'é il castello e tutte le case attorno. Ti piace?"
"È più piccola di Bologna."
"Appunto, proprio così: è piccola."
"È in mezzo al cielo. C'é il Paradiso lassù?" La domanda di Giovanni diverte Alessandra, che è quasi tentata di dire di sì, ma lo confonderebbe.
"No, il Paradiso è molto più in alto. Quando saremo nella nostra casa vedrai che ci troviamo proprio su questa terra, come a Bologna, ma in cima ad una montagna."
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Selvaggia aveva già cominciato a sperimentare con questa filosofia nonviolenta quando aiutava suo padre nella gestione del Comune; dopo la morte del vecchio Vergiolesi, l'ha messa in pratica seguendo la propria intuizione, l'insegnamento non verbale della nonna, ed i consigli espliciti di Lucio, il sacerdote di Sambuca che legge in segreto i lavori politici di Aristotele tradotti da Averroé.
"Madonna Alessandra, siamo fortunati ad avere una grande medica come voi nel nostro piccolo comune. Venite in sagrestia; vi faccio vedere i documenti della parrocchia; qualcuno risale ai tempi dei Longobardi, sapete." ---
“Ecco, qui c’è Politica, che Selvaggia mi ha detto di darvi da leggere, dove Aristotele discute le varie forme di governo. In pratica, il Filosofo dice che la meno peggio è la democrazia diretta, e la peggiore è la tirannia. Quella migliore sarebbe una conduzione mista, con una componente aristocratica ed una popolare."
"Che vantaggio c'é ad avere dei nobili al governo? Vogliono sempre fare la guerra."
"Ah, attenzione: Aristotele scriveva prima del Cristo. Non bisogna interpretarlo con la mentalità contemporanea; allora non c'erano guelfi e ghibellini. In effetti lui usa il termine aristocratico per indicare il governo dei migliori, non 'il governo di chi è nato nobile'. Anche il significato di nobiltà è cambiato da allora. Nell'antica Grecia i nobili erano semplicemente i proprietari terrieri. Adesso sono i discendenti degli antichi capitani dei re Franchi, che in seguito furono poi incoronati dagl'imperatori romani di Germania, e messi a guardia di un particolare territorio dell'impero. Soldati cortigiani, insomma, ai quali conviene, come dite voi, che ci sia sempre una guerra in giro." Alessandra solleva il manoscritto e se lo stringe al petto:
Voi sarete il mio maestro di etica politica. Come vi pagherò le lezioni?"
"Temo vi costeranno care, madonna. lo soffro del male della pietra e voi dovrete curarmi; non è una cosa da poco."
"D'accordo, cominciamo subito. Come è governata Sambuca?"
"Ah, per questo bisogna sedersi sotto alla quercia. Seguitemi."
Lucio porta Alessandra nel piazzalino di fronte alla chiesa da dove si dominano i boschi sottostanti, praticamente tutto il mondo. II tronco di una quercia enorme è cresciuto a ridosso del muretto di sassi che s'affaccia sul dirupo sottostante coperto di edera, e poi di rovi molto fitti fino laggiù, molto più giù. Da qui si può tranquillamente parlare dell'altro mondo.
"C'é solo un'istituzione di governo: il Consiglio degli Anziani. E' un gruppo di sette o otto persone, piccolo abbastanza da parlarsi in intimità, abbastanza numeroso da rappresentare opinioni diverse. Si raduna circa una volta al mese, o quando c'é un'urgenza, nella sala del camino di Selvaggia, dove avete cenato ieri sera. I membri attuali sono Madre Celestina, la badessa delle carmelitane, Guidone il tagliaboschi, io, Robertino da Porretta, falegname e scultore, Selvaggio detto Testariccia, porcaro, e Ugo de' Castellani, proprietario terriero, cugino di Selvaggia."
"Una bella compagnia. Ma come vengono eletti i membri?"
"Non c'é nessuna elezione. Quando Selvaggia s'accorge che una persona potrebbe contribuire al governo del comune, la cita pubblicamente. II messo del comune va in giro con un tamburo e lo racconta a tutti; se qualcuno, anche una sola persona, presenta una buona ragione per opporsi, non si procede alla nomina.
Naturalmente Selvaggia sceglie persone ben note a tutti per le loro capacità e dedizione agli scopi del Consiglio, così questa possibilità non si è ancora mai avverata; ma la regola esiste, e alla gente piace che si chieda il loro parere."