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Le rane, ovvero Uscire di casa e andare a teatro! - Aristofane


lunedì 05 novembre 2001 lettura di Renzo Tosi
Rane, 830-870:

Euripide: Il trono non lo lascio mai, è inutile che dici: lo so meglio di lui il mestiere, te lo assicuro.
Dioniso: Eschilo, e te ne stai zitto! Ma capisci che dice?
Euripide: Da principio fa il borioso: sempre così, anche nelle tragedie, per fare colpo!
Dioniso: Benedetto uomo, non esagerare!
Euripide: Lo conosco, lui: non è da ora che l’ho studiato! Mette in scena gente selvatica, usa parole tronfie, ha una bocca senza freno, smodata, sfondata. Mai un discorso filato, una massa di fanfaronate.
Eschilo: “Vero? Figlio dell’ortolana dea!”. Tratti me in questo modo, tu che fai collezione di scemenze, metti in scena pezzenti, non sai che ricucire stracci. Ma ti penti, a parlare così!
Dioniso: Smettila, Eschilo, non ti arrabbiare: “non infiammare i visceri dell’ira!”
Eschilo: No, se prima non lo smaschero: che impudenza, questo creatore di sciancati!
Dioniso: Un agnello, un agnello nero, portatelo subito o schiavi: sta per scoppiare un tifone!
Eschilo: Fai raccolta di canzoni oscene, alla cretese, nella tua arte infili unioni incestuose…
Dioniso: Calmati un poco, veneratissimo Eschilo! Tu, via dalla grandine, scemo di un Euripide, scansati se sei furbo: te ne appioppa in testa una come si deve, con questa collera, che ti schizza fuori il Telefo! E tu, Eschilo, non lo accusare, non farti accusare con rabbia: moderazione! Dei signori poeti non si dovrebbero azzuffare come fornaie: ti metti subito a scoppiare, neanche fossi un leccio sul fuoco!
Euripide: Da parte mia sono pronto, e mantengo la parola, a beccarlo o a farmi beccare per primo, se lui vuole: sui dialoghi, sulle liriche, sulla struttura delle tragedie. E, perdio, anche sul Peleo e sull’ Eolo¸ sul Meleagro, e perfino sul Telefo!
Dioniso: Che intenzioni hai, Eschilo? Parla.
Eschilo: Non vorrei battermi quaggiù: non c’è proporzione tra noi due!
Dioniso: Perché poi?
Eschilo: Perché la mia poesia non è morta con me: la sua sì, può aiutarlo a fare chiacchiere. Ma siccome tu hai deciso non c’è scelta.


Rane, 907-962:

Euripide: Va bene! Io quello che valgo come poeta, ve lo faccio vedere in ultimo. Prima devo smascherare lui, che razza di imbroglione è stato, come ingannava gli spettatori, ereditati da Frinico, che li imbottiva di scemenze. Per cominciare, ti metteva a sedere un personaggio imbacuccato, Achille magari o Niobe, senza farne vedere la faccia: l’anticamera della tragedia, non sputavano mezza parola.
Dioniso: Vero, perdio, neanche una!
Euripide: Il Coro poi infilava quattro cantate intere, una dietro l’altra: e quelli sempre zitti.
Dioniso: A me il silenzio mi piaceva: mi divertiva almeno quanto le chiacchiere che fanno oggi.
Euripide: Perché eri un imbecille! Impara!
Dioniso: Hai proprio ragione, ma perché faceva così, questo tipo?
Euripide: Per fare colpo: e lo spettatore ad aspettare come un idiota che Niobe si decidesse a parlare. La tragedia intanto andava avanti.
Dioniso: Che traditore, quante me ne ha fatte bere! E tu, perché ti storci, che ti piglia?
Euripide: Perché lo smaschero! Dopo tutte queste scemenze, arrivato il dramma a metà, sparava all’improvviso una dozzina di parole grosse come buoi, accigliate e impennacchiate: certi spauracchi, mai sentiti dagli spettatori!
Eschilo: Povero me…
Dioniso: Zitto!
Euripide: Mai detta una cosa chiara…
Dioniso: Non ti mordere le labbra!
Euripide: … sempre lo Scamandro, e i fossati e i grifoni scolpiti nel bronzo degli scudi: certe parole scalpitanti, bravo chi le capiva.
Dioniso: Accidenti: “una volta per lungo tempo il sonno mi lasciò”: cercavo di capire, la notte, che uccello è il “fulvo ippogallo”!
Eschilo: Lo stemma delle navi, ignorante! C’è dipinto!
Euripide: Che bisogno c’era, comunque, di infilarci anche i polli, nelle tragedie?
Eschilo: E tu, che Dio ti maledica, che sapevi fare? Sentiamo!
Euripide: Né ippogalli, perdio, né ircocervi, come facevi tu: anche se li ricamano sugli arazzi persiani. Appena presa la tragedia dalle mani tue, gonfia di parole boriose e insopportabili, l’ho fatta subito dimagrire e calare di peso, con versi piccoli e discussioni, nonché con bietole bianche: le davo un decotto di chiacchiere, spremuto dai libri… Non parlavo a vanvera, né mi buttavo in scena senza scopo. Al primo che usciva, facevo subito dire, di che razza di dramma si trattava…
Eschilo: Sempre meglio della razza tua, perdio!
Euripide: Poi, fin dai primi versi, non lasciavo nulla in sospeso: parlavano tutti nella mia tragedia, donna o schiavo che fossero, padrone, ragazza o vecchia, non importa!
Eschilo: Svergognato, non ti dovevano accoppare?
Euripide: No, per Apollo! Ero un poeta democratico, io!
Dioniso: Lascia correre, amico… maglio non toccare questo tasto!
Euripide: Comunque, ho insegnato io come si chiacchiera, agli spettatori…
Eschilo: Sfido io! Dovevi schiattare, prima di insegnarglielo!
Euripide: … a infilarci regole sottili, a squadrare parole, a osservare, vedere, capire, imbrogliare, amare, macchinare, e poi a sospettare… pensarle tutte…
Eschilo: Sfido io!
Euripide: … mettevo in scena cose di tutti i giorni, che ci capitano normalmente. E correvo il rischio di essere accusato: sapevano di che si trattava, potevano criticarla, l’arte mia. Ma niente paroloni da far girar la testa, non cercavo di impressionarli!


Rane, 1006-1024:

Eschilo: Ce l’ho con la sorte, mi si ribellano i visceri: sono costretto a rintuzzare un simile individuo. Ma perché non si vanti che sono a terra, rispondimi: quale virtù si ammira in un poeta?
Euripide: L’abilità nel consigliare: noi li rendiamo migliori, gli abitanti delle Città.
Eschilo: Tu? Mai fatto questo! I galantuomini anzi sono diventati i peggiori delinquenti, nelle mani tue. Che ti dovrebbero fare, secondo te?
Dioniso: Accopparlo: lo chiedi a lui?
Eschilo: Allora guarda come li avevi ricevuti da me, per cominciare: generosi, pezzi d’uomini, nessuno che disertava, mai trivialità o pagliacciate come oggi, né delinquenti. Spirava aria di lance e di picche, di cimieri dai bianchi pennacchi, di elmi e di schinieri, di cuori a sette corazze.
Dioniso: Guadagna terreno l’accidente: finisce che mi accoppa, a furia di elmi! Ma tu che hai fatto se hai insegnato a diventare così valorosi? Eschilo, parla, non ti nascondere dietro la boria: giù la collera!
Eschilo: “Un dramma peno di Ares” ho fatto.
Dioniso: Quale?
Eschilo: I Sette a Tebe. Chi fosse un uomo, dopo averlo visto, smaniava di combattere.
Dioniso: Bel guaio hai combinato: i Tebani, li hai fatti diventare più valorosi in guerra! Te le meriti, anche per questo.


Rane, 1197-1228:

Euripide: Io li so fare, i Prologhi!
Eschilo: Perdio, non te li voglio straziare verso per verso: ma se Dio vuole te li distruggo con una boccetta, i tuoi Prologhi!
Euripide: Tu con una boccetta, i miei Prologhi?!
Eschilo: Una sola! Il tuo sistema è questo: qualunque cosa fai, una boccetta, una pelliccetta, un sacchetto ci stanno sempre bene nel verso. Lo dimostro subito.
Euripide: Sì? Dimostrarlo tu?
Eschilo: Vedrai!
Dioniso: Su, dai, recita!
Euripide: “Coi cinquanta suoi figlioli / (è la fama assai diffusa) / su una nave il prode Egitto / approdò nei pressi d’Argo”
Eschilo: e smarrì la sua boccetta!
Euripide: Che c’entra la boccetta? Lo sistemo io!
Dioniso: Recitagli un altro Prologo: vediamo un’altra volta!
Euripide: “Con i tirsi e con le pelli / di cerbiatte rivestito / tra le fiaccole Dioniso / per il monte del Parnaso/ nelle danze si lanciò”
Eschilo: e smarrì la sua boccetta!
Dioniso: Dio, che strazio, ancora la boccetta!
Euripide: Ora la finisce di scocciare: a questo Prologo qua, ha voglia di affibbiarci la boccetta! “non esiste nessun uomo / che del tutto e per tutto/ fortunato possa dirsi: / quel ch’è nobile di stirpe / di che viver non possiede, / chi oscuri ha i natali”
Eschilo: ah, smarrì la sua boccetta!
Dioniso: Euripide!
Euripide: Che c’è?
Dioniso: Ammaina! La bufera che scatena, questa boccetta!
Euripide: Per Demetra, non ci penso neanche: vedrai, tra poco gli scoppia in mano.
Dioniso: Va bene: recitane un altro, e attento alla boccetta!
Euripide: “Il gran figlio dell’Agenore, / Cadmo un giorno dalla rocca / di Sidone se ne andò/
Eschilo: e smarrì la sua boccetta!
Dioniso: Benedetto uomo, ricompragli questa boccetta: così, non ci strazia più i Prologhi!


Bibliografia:

Aristofane, Le Commedie, a c. di Benedetto Marzullo, Roma-Bari 19772
Aristofane, Le Rane, a c. di D. Del Corno, Milano (Fond. Valla) 1985
C.F. Russo, Aristofane autore di teatro, Firenze 19842
G. Mastromarco, Introduzione ad Aristofane, Roma-Bari 1994