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Serata inaugurale dell'associazione


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lunedì 05 novembre 2001 Arci Villone, primo incontro
Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi
J. Derrida,
La farmacia di Platone, Jaca Book, Milano 1969
E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano 1961
R.M. Pirsig, Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, Adelphi, Milano 1980
Platone, Fedro, a cura di G. Reale, Rusconi, Milano 1993De Amicis E., Cuore, Milano: Garzanti 1963, pp. 22-23 (I ed. 1886)

Se questo è un uomo, capitolo II Il canto di Ulisse - Primo Levi introduce: Benedetta Nanni  

Il canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente: ma non abbiamo tempo di scegliere, quest'ora già non è più un’ora. Se Jean è intelligente capirà. Capirà: oggi mi sento da tanto.
… Chi è Dante. Che cosa è la Commedia. Quale sensazione curiosa di novità si prova, se si cerca di spiegare in breve che cosa è la Divina Commedia. Come è distribuito l'Inferno, cosa è il contrappasso. Virgilio è la Ragione, Beatrice è la Teologia.
Jean è attentissimo, ed io comincio, lento e accurato:

Lo maggior corno della fiamma antica
Cominciò a crollarsi mormorando,
Pur come quella cui vento affatica.
Indi, la cima in qua e in là menando
Come fosse la lingua che parlasse
Mise fuori la voce, e disse: Quando...

Qui mi fermo e cerco di tradurre. Disastroso: povero Dante e povero francese! Tuttavia l'esperienza pare prometta bene: Jean ammira la bizzarra similitudine della lingua, e mi suggerisce il termine appropriato per rendere «antica».
E dopo «Quando»? Il nulla. Un buco nella memoria. «Prima che sí Enea la nominasse ». Altro buco. Viene a galla qualche frammento non utilizzabile: «... la piéta Del vecchio padre, né '1 debito amore Che doveva Penelope far lieta... » sarà poi esatto?

... Ma misi me per l'alto mare aperto.

Di questo sí, di questo sono sicuro, sono in grado di spiegare a Pikolo, di distinguere perché «misi me» non è «je me mis», è molto piú forte e piú audace, è un vincolo infranto, è scagliare se stessi al di là di una barriera, noi conosciamo bene questo impulso. L'alto mare aperto: Pikolo ha viaggiato per mare e sa cosa vuol dire, è quando l'orizzonte si chiude su se stesso, libero diritto e semplice, e non c'è ormai che odore di mare: dolci cose ferocemente lontane.
(…)
«Mare aperto». «Mare aperto». So che rima con «diserto»: «... quella compagna Picciola, dalla qual non fui diserto», ma non rammento piú se viene prima o dopo. E anche il viaggio, il temerario viaggio al di là delle colonne d'Ercole, che tristezza, sono costretto a raccontarlo in prosa: un sacrilegio. Non ho salvato che un verso, ma vale la pena di fermarcisi:

... Acciò che l'uom píú oltre non si metta.

«Si metta»: dovevo venire in Lager per accorgermi che è la stessa espressione di prima, «e misi me». Ma non ne faccio parte a Jean, non sono sicuro che sia una osservazione importante. Quante altre cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno è vicino. Ho fretta, una fretta furibonda.

Ecco, attento Pikolo, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca:

Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza.

Come se anch'io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono.
Pikolo mi prega di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del bene. O forse è qualcosa di piú: forse, nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle.

Li miei compagni fec'io sì acuti…

…e mi sforzo, ma invano, di spiegare quante cose vuol dire questo «acuti». Qui ancora una lacuna, questa volta irreparabile. «... Lo lume era di sotto della luna» o qualcosa di simile; ma prima?... Nessuna idea, «keine Ahnung» come si dice qui. Che Pikolo mi scusi, ho dimenticato almeno quattro terzine.
(…)
Basta, bisogna proseguire, queste sono cose che si pensano ma non si dicono. Pikolo attende e mi guarda.
Darei la zuppa di oggi per saper saldare «non ne avevo alcuna» col finale.


Fedro - Platone - Introduce Vincenzo Fano 
Il Fedro è probabilmente un dialogo giovanile di Platone, che comincia con un discorso di Socrate contro l'amore. Quest'ultimo però si rende subito conto di aver sbagliato a parlare male dell'amore e chiede scusa al dio pronunciando un nuovo discorso in cui mostra che eros è la chiave d'accesso al mondo delle idee. Il dialogo si conclude con una complessa analisi del rapporto fra oralità e scrittura che culmina nel mito di Theut inventato da Platone.

Il testo
Ho udito, dunque, narrare che presso Naucrati d'Egitto c'era uno degli antichi dei di quel luogo, al quale era sacro l'uccello che chiamano Ibis, e il nome di questo dio era Theut . Dicono che per primo egli abbia scoperto i numeri, il calcolo la geometria e l'astronomia e poi il gioco del tavoliere e i dadi, e, infine, anche la scrittura. Re di tutto quanto l'Egitto a quel tempo era Thamus e abitava nella grande città dell'Alto Nilo. Gli Elleni la chiamano Tebe egizia, mentre chiamano Ammone il suo dio. E Theut andò da Thamus, gli mostrò queste arti e gli disse che bisognava insegnarle a tutti gli Egizi. E il re gli domandò quale fosse l'utilità di ciascuna di quelle arti, e, mentre il dio gliela spiegava, a seconda che gli sembrasse che dicesse bene o non bene, disapprovava oppure lodava. A quel che si narra, molte furono le cose che, su ciascuna arte, Thamus disse a Theut in biasimo o in lode, e per esporle sarebbe necessario un lungo discorso.
Ma quando si giunse alla scrittura, Theut disse: "Questa conoscenza, o re, renderà gli Egiziani più sapienti e più capaci di ricordare, perché con essa si è ritrovato il farmaco (pharmacon) della memoria e della sapienza."
E il re rispose: "O ingegnosissimo Theut, c'è chi è capace di creare le arti e chi è invece capace di giudicare quale danno o quale vantaggio ne ricaveranno coloro che le adopereranno. Ora tu, essendo padre della scrittura, per affetto hai detto proprio il contrario di quello che essa vale. Infatti, la scoperta della scrittura avrà per effetto di produrre la dimenticanza nelle anime di coloro che la impareranno, perché, fidandosi della scrittura, si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da sé medesimi: dunque, tu hai trovato il farmaco non della memoria, ma del richiamare alla memoria.
"Della sapienza, poi, tu procuri ai tuoi discepoli l'apparenza, non la verità: infatti essi divenendo per mezzo tuo uditori di molte cose senza insegnamento, crederanno di essere conoscitori di molte cose, mentre, come accade per lo più in realtà, non le sapranno; e sarà ben difficile discorrere con essi, perché sono diventati portatori di opinioni invece che sapienti."

Nota
Proviamo a mettere nel racconto di Socrate al posto della parola "scrittura" il termine "medium", con riferimento a tutte le tecniche di comunicazione che hanno seguito la scrittura: la stampa, il telegrafo, il cinema, la radio, il telefono, la televisione, il computer. Allora, secondo Theut i media sono il pharmacon della memoria e della sapienza, ampliano la nostra capacità di registrare e trasmettere informazioni. Ma, come ha notato Derrida, pharmacon in greco significa anche "droga", "veleno", cioè qualcosa che ha delle potenzialità che non possono essere controllate. Quale è la differenza fra l'oralità e tutti i media? Che questi ultimi, a differenza della prima, vivono e circolano senza il loro padre e il loro autore, hanno degli effetti incontrollabili. E più il pharmacon (medium) è potente e più è incontrollabile. Dunque la scrittura, la televisione, il computer aiutano, ma anche ammaliano. E questo vale per la scienza in generale, come ci ricorda Husserl.
Ricordiamoci però anche che Platone, raccontando questo mito attacca i sofisti, quelli secondo i quali ogni opinione è discutibile, che sostengono che non c'è una distinzione chiara fra opinione e verità. Allora il rischio dei media, per Platone, è quello di creare opinione e non verità. Ma Pirsig, recentemente scomparso, nel suo Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, che è tutto impostato sulla figura di Fedro, insinua il dubbio che bisogna diffidare di quelli come Platone che sono convinti che esista la verità e condannano l'opinione. Anche loro sono dei persuasori, che si occultano dietro il paravento della verità. Forse semplicemente i media non sono meno veri del dialogo, ma ci presentano una verità diversa, con cui dobbiamo necessariamente convivere, come ha cercato di spiegarci McLuhan.




De Amicis. E , Cuore, Lettera della madre di Enrico -introduce Eros Drusiani

2, mercoledì

Questo giorno è consacrato alla commemorazione dei morti. Sai, Enrico, a quali morti dovreste tutti dedicare un pensiero in questo giorno, voialtri ragazzi? A quelli che morirono per voi, per i ragazzi, per i bambini. Quanti ne morirono, e quanti ne muoiono di continuo! Pensasti mai a quanti padri si logoraron la vita al lavoro, a quante madri discesero nella fossa innanzi tempo, consumate dalle privazioni a cui si condannarono per sostentare i loro figlioli? Sai quanti uomini si piantarono un coltello nel cuore per la disperazione di vedere i propri ragazzi nella miseria, e quante donne s'annegarono o moriron di dolore o impazzirono per aver perduto un bambino? Pensa a tutti quei morti, in questo giorno, Enrico. Pensa alle tante maestre che son morte giovani, intisichite dalle fatiche della scuola, per amore dei bambini, da cui non ebbero cuore di separarsi; pensa ai medici che morirono di malattie attaccaticce, sfidate coraggiosamente per curar dei fanciulli; pensa a tutti coloro che nei naufragi, negli incendi, nelle carestie, in un momento di supremo pericolo, cedettero all'infanzia l'ultimo tozzo di pane, l'ultima tavola di salvamento, l'ultima fune per scampare alle fiamme, e spirarono contenti del loro sacrifizio, che serbava in vita un piccolo innocente. Sono innumerevoli, Enrico, questi morti; ogni cimitero ne racchiude centinaia di queste sante creature, che se potessero levarsi un momento dalla fossa griderebbero il nome d'un fanciullo, al quale sacrificarono i piaceri della gioventù, la pace della vecchiaia, gli affetti, l'intelligenza, la vita: spose di vent'anni, uomini nel fior delle forze, vecchie ottuagenarie, giovinetti, - martiri eroici ed oscuri dell'infanzia, - così grandi e così gentili, che non fa tanti fiori la terra, quanti ne dovremmo dare ai loro sepolcri. Tanto siete amati, o fanciulli! Pensa oggi a quei morti con gratitudine, e sarai più buono e più affettuoso con tutti quelli che ti voglion bene e che fatican per te, caro figliuol mio fortunato, che nel giorno dei morti non hai ancora da pianger nessuno!

TUA MADRE