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“Santi e vampiri”


lunedì 16 aprile 2012 legge Carlo Dogheria 
In tutte le culture troviamo la figura del morto che ritorna tra i viventi, in forma corporea o fantasmatica, spesso con cattive intenzioni. Di questa schiera di revenants, il vampiro è il rappresentante più celebre e più rappresentato dalla letteratura e dal cinema, ma spesso in modi che tradiscono la realtà del “vero” vampiro.
Meno nota e prevedibile è la cattiveria dei santi, che nei loro miracoli postumi si dimostrano spesso frivoli, vanitosi, suscettibili e pronti all’ingiustizia e alla crudeltà pur di soddisfare i propri voleri.


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La distruzione del vampiro Peter Plogojowitz (Kisilova, Serbia)
Da: Michael Ranft, De masticatione mortuorum in tumulis, 1725
Da dieci settimane, nel villaggio di Kisilova, Peter Plogojowitz era stato sepolto; ebbene, dopo una settimana, nove persone erano morte nel giro di otto giorni dopo una malattia durata ventiquattr’ore. Ed esse testimoniarono, mentre erano sul letto di morte, che il succitato Plogojowitz, che era morto dieci settimane prima, mentre dormivano, si era steso sopra di loro stringendogli la gola così forte da portarli in fin di vita. Gli abitanti del villaggio si sono ulteriormente spaventati giacché la moglie di Plogojowitz, da loro interrogata, ha confessato che suo marito era venuto a chiederle le sue scarpe al fine di lasciare Kisolova e recarsi in un altro villaggio. Succede che presso tali persone, chiamate vampiri, si trovano diversi sintomi di non-decomposizione del corpo; si può ad esempio constatare che la loro pelle, i capelli, la barba e le unghie continuano a crescere; pertanto gli abitanti decisero di aprire la tomba di Peter Plogojowitz, per vedere se questi segni fossero presenti. Si sono quindi rivolti a me per chiedermi di assistere a questo sopralluogo assieme al pope. Gli risposi che una tale decisione richiedeva l’approvazione dell’Amministrazione, ma essi non vollero saperne niente: dal momento che non volevo che un tale sopralluogo si facesse senza il permesso delle autorità, si sentivano obbligati ad abbandonare le proprie case, perché nell’attesa del permesso di Belgrado, tutto il villaggio correva il rischio d’essere annientato da quegli spiriti malvagi. Non avendo potuto impedire che questa gente attuasse il suo progetto né con le buone parole né con le minacce, mi sono recato insieme col pope di Gradiska nel villaggio di Kisolova ed ho esaminato il cadavere di Peter Plogojowitz. Ho potuto constatare quanto segue: dal cadavere e dalla tomba non proveniva assolutamente l’odore caratteristico dei morti, e il corpo, eccetto il naso, era tutto fresco. I capelli, la barba e persino le unghie erano caduti ed erano ricresciuti; la vecchia pelle, che mostrava un colore biancastro, si era staccata, e una nuova pelle fresca emergeva. Il viso, le mani, i piedi, e l’intero corpo erano in uno stato tale, che non avrebbero potuto essere più perfetti mentre il soggetto era in vita. Non senza meraviglia, scoprii nella sua bocca un po’ di sangue fresco, che, secondo quanto ho sentito dire, il defunto aveva succhiato alle persone da lui uccise. In breve, ho trovato tutti gli indizi che gli strani esseri di cui ho parlato presentano.
Io e il pope stavamo guardando questo spettacolo, quando il popolaccio, sempre più furioso, si mise ad appuntire un paletto, con l’intenzione di trafiggere il cadavere. Glielo introdussero nel cuore, e questo impalamento produsse una abbondantissima effusione di sangue fresco dalle orecchie e dalla bocca, ma si verificarono anche altri segni fuori del normale, che tralascio per pudore. Infine, secondo la loro pratica usuale, bruciarono il cadavere. Io richiedo che non mi si imputi questo sbaglio, che è da addebitarsi alla folla, che era fuori di sé per la paura e la collera. Firmato: l’Ufficiale Imperiale del distretto di Gradiska”.

Relazione del medico imperiale incaricato dall’imperatrice Maria Teresa di indagare su presunti episodi di vampirismo avvenuti in Moravia nel 1755
Da: Gerard van Swieten, Considerazione intorno alla pretesa magia postuma, 1756
Le testimonianze non portano che i trapassati sieno comparsi ai viventi; ma si pretende che si sentisse una compressione, un’angoscia, che sforzasse a dormire... Apparisce dall’esame fatto dai commissarj, che molta di questa gente avea malattie di petto, le quali cagionavan loro grandi affanni allora, quando erano in letto... Tutti sanno che la sola paura può esser cagione di spaventevoli affanni... Un cane, o spezialmente un gatto, s’eglino son neri, nottetempo veduti sempre sono presi pel diavolo, o per uno spettro... Così un porco, secondo gli attestati, che passava grugnendo davanti a una casa, fu preso per un Vampiro risuscitato. Io avrei vergogna a ripetere ogni frivolezza che si trova in questi attestati... Sopra fondamenti di tal sorta si ordì tutta questa storia, e si commisero de’ sacrilegj, fu violato l’asilo delle tombe, restò annerita la reputazione de’ defunti e delle lor famiglie, che dovevano aspettarsi una medesima sorte, se tali abusi via non si toglievano: furono posti nelle mani del boja corpi di fanciulli morti nell’innocenza; le Croci medesime... furono fatte igno¬miniosamente ardere non per altro che perché erano state erette sopra le tombe di queste sventurate vittime dell’ignoranza e della superstizione…
Dove sono le leggi che autorizzino siffatte sentenze? Si confessa non darsene; ma si allega freddamente che il costume vuol così. Che sequela d’infortuni! Poveri ammalati, donne vicine al parto si sono dati alla fuga e han trovata la morte sul cammino contenti di evitar l’infamia almeno dopo la morte. Gli abitatori per la continua paura son disposti a trasportarsi altrove. In una parola, tutto è in disordine. Che il volgo sovente male istrutto cada negli spropositi mi fa compassione e non me ne maraviglio; ma che queglino, che riputati sono maestri, autorizzino abusi così enormi, e tanto al buon senno opposti, questo mi trafigge, e a tanto sdegno mi muove, che io veggo di dover porre fine per non essere trasportato oltre i termini”

Parere dei teologi della Sorbona su un quesito inviato dalla Polonia nel 1693
Da: Augustin Calmet, Dissertazioni sopra le apparizioni de’ spiriti e sopra i vampiri o i redivivi d’Ungheria, di Moravia, ecc., 1756
 
Si chiede cosa debba fare il confessore e in che modo debba comportarsi sia verso chi compie queste esecuzioni, sia verso chi chiede di aprire una tomba per tagliare la testa al cadavere, quando si tratti di un cadavere come quello sopra descritto. Noi sottoscritti riteniamo che sia coloro che compiono queste esecuzioni, sia coloro che chiedono di aprire le tombe a quello scopo pecchino gravissimamente, e che i confessori debbano ammonire tali persone e spiegare loro il male che fanno in queste occasioni, e negar loro l’assoluzione se perseverano in questa prassi perversa.”I dottori della Sorbona ricordano che violare delle tombe, profanare cadaveri e col sangue di questi morti fare del pane per proteggersi dai vampiri sono sacrilegi passibili di scomunica. In particolare, la fabbricazione di pane contenente sangue di presunto vampiro, è un atto che presuppone un patto col diavolo, e notoriamente non è lecito difendersi da un maleficio con un altro maleficio. Se proprio il medico non troverà cause naturali per spiegare quanto accade a chi si dice perseguitato dai vampiri, “si potrebbe ricorrere ad altri rimedi per difendersi da questa vessazione del Demonio... Coloro ai quali accadono queste cose vanno esortati a confessarsi con cuore contrito e spirito umiliato, a soddisfare Dio con abbondanti elemosine, preghiere e digiuni, e a cercar di guarire per mezzo degli esorcismi e degli altri doni della medicina ecclesiastica”.

Luigi XV s’informa sul vampirismo
Da : Histoire des vampires et des spectres malfaisans, avec un examen du vampirisme, 1820

Volendo sapere la verità su questi eventi straordinari, Luigi XV ordinò al duca di Richelieu, allora ambasciatore a Vienna, di esaminare esattamente le cose, di vedere i processi verbali e di fargliene un resoconto. Il duca si fece istruire su tutto con esattezza e rispose al re che nulla pareva più certo di ciò che si pubblicava a proposito dei vampiri di Ungheria. Ma i filosofi non si accontentarono di questa risposta; osservarono che il duca di Richelieu aveva preso le sue informazioni lontano dal teatro del vampirismo, e il re ordinò al suo ambasciatore di recarsi nei luoghi ove i vampiri esercitavano le loro razzie, e di vedere tutto coi suoi occhi. Il duca obbedì, e trovò che tutto ciò che si raccontava di questi spettri era generalmente l’effetto dell’immaginazione e della superstizione”.


L’ironia di papa Lambertini in risposta al quesito di un arcivescovo polacco
Da: Louis-Antoine de Caraccioli, La vie du Pape Bénoît XIV. 1783
 
Deve essere la grande libertà di cui godete in Polonia che vi consente di andarvene a spasso anche dopo morti. Qui da noi i morti sono tranquilli e silenziosi e se non avessimo che loro da temere, non avremmo bisogno né di sbirri né di bargello.... Dalle vostre parti, a Kiev, avete una moltitudine di cadaveri perfettamente conservati, i quali, oltre ad elasticità di membra, posseggono bei visi pieni di luminosità e di vita. (...) Sta soprattutto a Lei, Arcivescovo, di sradicare queste superstizioni. Scoprirà, se andrà alla fonte di queste dicerie, che ad accreditarle sono magari dei preti che vogliono guadagnarci, invogliando il popolino, credulo per natura, a pagar loro esorcismi e messe. Le raccomando espressamente di interdire, senza perder tempo, coloro che risultassero colpevoli di una tale prevaricazione. Si convinca, La prego, che in tutto questo affare sono i vivi che hanno torto”.


Un’epidemia di vampiri
Da: Voltaire, in un opuscolo arbitrariamente inserito in alcune antiche edizioni del “Dizionario filosofico”
 
Non si sentiva parlare che di vampiri fra il 1730 e il 1735; se ne scoprivano dappertutto, gli si tendevano agguati, gli si strappava il cuore, li si bruciava. Qualcosa di simile a quanto era capitato agli antichi martiri cristiani. Più se ne bruciavano e più se ne trovavano. Si ebbe la prova che i morti mangiano e bevono. La difficoltà era stabilire se a nutrirsi era l’anima o il corpo. Fu deciso che erano tutti e due: le vivande delicate e poco sostanziose, come meringhe, panna montata e frutti canditi, andavano all’anima; il roast beef al corpo. Mentre i vampiri menavano la bella vita in Polonia, in Ungheria, nella Slesia, nella Moravia, in Austria e nella Lorena, non si avevano notizie di vampiri nelle città di Londra e di Parigi. Debbo ammettere che in queste due città ci fossero speculatori, strozzini e altri affaristi che succhiavano il sangue del popolo, e in pieno giorno, ma non erano certo morti, benché indubbiamente corrotti. Le vere sanguisughe non abitavano nei cimiteri, ma in palazzi assai confortevoli”.


La cattiveria dei santi
Da: Carlo Dogheria, Santi e vampiri, Stampa alternativa, Roma
Il santo ha urgenza di raggiungere l’ultima dimora, tiene in gran considerazione l’integrità del proprio cadavere, ma soprattutto vuole avere l’ultima parola nel decidere il luogo del suo riposo, e chi vuole fare diversamente, difficilmente riesce a spuntarla. Per manifestare la propria contrarietà alla scelta che gli è stata riservata, egli, solitamente, impedisce il viaggio rendendo il proprio corpo prodigiosamente pesante, oppure rifiutando di muoversi una volta raggiunto un luogo di suo gradimento (…)
Talvolta la contrarietà del defunto si manifesta in modi feroci: Diego da Sinagra, in procinto di essere traslato, impedisce l’operazione colpendo con un “terribile accidente” l’operaio incaricato del lavoro (che ne muore un paio di giorni dopo) e limitandosi a rimproverare il vescovo che quella traslazione aveva deciso; l’abate Benedetto acceca chi tenta di spostarlo, mentre Leone Bembo, meno drastico, fa venire un forte male a un braccio al vescovo di Venezia, che vorrebbe dargli una tomba meno bella. La più terribile è Verona di Lovanio, la quale, morta a Magonza, punisce la venerazione degli abitanti di quella città, che vorrebbero tenerla con sé anziché rispedirla nel natio Brabante, facendo arrivare prima un’epidemia, poi un terremoto. A quel punto, saggiamente, la lasciano partire.
Non meno importante del luogo della sepoltura erano per il santo certe circostanze secondarie della cerimonia, capaci anch’esse di provocare reazioni spropositate: Giovanni Calibita, persona di nobili natali la cui virtù precipua era l’umiltà, aveva chiesto alla madre di essere sepolto con la logora veste che indossava abitualmente. Avendo la donna contravvenuto a quel desiderio rivestendo il figlio con abiti splendidi, Giovanni si vendicò rendendola paralitica fino a quando la sua volontà non venne esaudita. Antonio dell’Aquila, per gli stessi motivi, voleva essere sepolto nella nuda terra e i becchini si apprestavano ad accontentarlo quando un masso, miracolosamente, si spostò andando a colpire uno degli operai, che rimase tramortito. Le preghiere indirizzate al santo ebbero il potere di risanarlo, ma rimaneva il problema di interpretare quanto era successo. Si concluse infine che quel crudele miracolo non era opera del santo, ma di Dio stesso, che evidentemente giudicava eccessiva l’umiltà di Antonio e voleva per lui una più degna sepoltura. A proposito dello stesso Antonio, quando parecchi anni dopo si decise di traslarne le spoglie e di provvedere alla distruzione del vecchio feretro in modo che nessuno potesse utilizzarlo per scopi sacrileghi, l’operaio incaricato di fare a pezzi la bara prima di bruciarla non riuscì: anzi, la scure, rimbalzando stranamente sul legno, lo ferì in modo grave ad una gamba. A quel punto, la cassa fu messa sul rogo tutta intera, senza farla a pezzi, e che questa fosse la strada da seguire lo dimostrò il soave profumo che accompagnò il rogo. (…)
Se il luogo e le modalità della sepoltura vanno bene, quello che fa infuriare il santo può essere la coabitazione forzata con altri defunti successivamente sepolti accanto a lui: poco graditi o per la loro indegnità morale, o semplicemente – viene da pensare – perché restringono lo spazio a disposizione. A Palermo, il vizioso Valeriano è deposto presso il corpo di S. Faustino, che appare in sogno ad un frate ordinandogli di dire al vescovo “che allontani da qui queste carni fetenti che ha qui sepolto (...) se così non sarà fatto, da qui a trenta giorni il vescovo morirà”. Il frate resta perplesso e non avvisa il vescovo; nuovamente ammonito dal santo, nemmeno la seconda volta riferisce il messaggio. Allo scadere del mese, l’ignaro vescovo, improvvisamente, muore. Margherita Fontana impedisce che accanto a lei venga sepolto un bambino terrorizzando l’operaio incaricato, e Andrea Corsini, vescovo di Fiesole, reagisce energicamente quando tumulano, proprio davanti al suo altare, una bella e vanitosa fanciulla. La notte seguente il santo appare irato a un frate, “si lamenta che le sue ossa siano insozzate dalla putredine di un corpo impuro” e chiede che si provveda. Il frate rimane esterrefatto ma non fa nulla e la notte successiva l’avvertimento si ripete: “se non si preoccuperà di liberare il suo corpo dall’offesa di un corpo disonesto e impuro e di un orribile fetore”, il frate verrà punito. Ma le cose non cambiano e alla terza apparizione Andrea frusta il religioso e gli fa venire degli attacchi epilettici. Solo quando la fastidiosa vicina viene sistemata altrove, il frate si riprende. […]
Il santo impiega i poteri che Dio gli ha dato onde avere la certezza di un sepolcro perennemente illuminato, e colpisce senza pietà chi lo privi della luce, sia pure senza malvagie intenzioni. Gebardo, vescovo di Costanza sul finire del X secolo, non sopportava che il custode della chiesa dov’era sepolto fosse solito spegnere quotidianamente la sua lampada all’approssimarsi dell’alba: per castigarlo, gli apparve in sogno e toccandogli un occhio, glielo accecò: “E a ragione – commenta l’agiografo che racconta questo episodio edificante – giacché colui che in terra aveva parzialmente privato della luce materiale un santo di Dio illuminato in cielo dalla luce eterna, doveva egli stesso essere in parte privato della luce”.
Anche l’abate Mellito (VII secolo) rimane al buio per colpa del custode, ma reagisce in modo meno feroce: apparendogli in sogno, lo rimprovera per quella trascuratezza, e gli appioppa un ceffone perché non dimentichi la lezione. Il custode si sveglia, vede Mellito ritornare dentro il sepolcro e si convince, anche per il dolore che sente alla guancia, della realtà di quanto è successo. […]
A questo punto, forse possiamo azzardare alcune osservazioni sui rapporti fra i protagonisti di queste storie (Dio, i santi e gli uomini), notando che si tratta di rapporti gerarchici di tipo feudale, all’interno dei quali le entità dominanti scaricano i propri eventuali conflitti sulla base della piramide. Se Antonio dell’Aquila voleva essere sepolto nella nuda terra e il Padreterno era di diverso avviso, ciò non produce un contrasto fra loro: chi ci rimette è l’incolpevole operaio, tramortito da un masso prodigiosamente spostatosi ad un cenno divino per impedire una indegna sepoltura. Proprio come un sovrano feudale, Dio ha anzitutto dei doveri nei confronti dei propri vassalli, e se intende premiarne uno, poco importa se nel farlo egli dimostra disinteresse e crudeltà nei confronti del suo popolo. Siamo nella Sicilia del Seicento, ed è in fin di vita, in odore di santità, Innocenza Ricci: “Era allora in Trapani il contagio, per il quale i cadaveri si atterravano fuora, ma il Signore otto giorni prima che morisse questa sua sposa fè cessare detto male, e perciò fu sepellita in Chiesa; otto giorni dopo, tornò la peste a fare strage de’ viventi e di nuovo i corpi cominciarono a seppellirsi fuori” .