logo dell'associazione

logo dell'associazione

Lunedì 30 gennaio 2012 - Che fine faranno i libri? - Francesco Cataluccio





lunedì 30 gennaio 2012 legge Marco Serra
Dal foglio di carta allo schermo digitale: il libro si evolve ancora, affrontando una nuova mutazione tecnica che lo porterà a una profonda mutazione strutturale. Francesco Cataluccio, nel saggio Che fine faranno i libri?, ipotizza il futuro dell’editoria; lettori, autori, editori e librai mutano insieme al testo scritto in un processo spesso difficile e sempre più veloce. A partire dalla recente nascita dell’e-book digitale, i libri futuri saranno sempre più simili alle pagine web e sempre più smaterializzati; la fisicità dell’oggetto (libro) scomparirà a favore del mezzo (schermo) e le parole si troveranno a lottare con le immagini per non diventarne un contorno di lusso. In questo panorama da brivido futuribile, l’autore ci invita a non avere paura di questo nuovo tipo di testo che diventa ipertesto.


Francesco M. Cataluccio, Che fine faranno i libri?, Roma, Nottetempo, 2010
Il passato
La biblioteca di mio padre
Mio padre amava molto i libri. Una passione ereditata da suo padre: un baffuto commerciante e piccolo proprietario terriero di Floridia (vicino a Siracusa), che sapeva la Divina Commedia a memoria e declamava, durante i pranzi della sua numerosa famiglia, brani dell’Orlando furioso e di altri poemi cavallereschi.
Quando si trasferí a Firenze per terminare gli studi liceali e fare poi l’università, mio padre spendeva gran parte dei soldi che gli venivano inviati dalla Sicilia in libri. Alla metà degli anni trenta - aveva venticinque anni - la sua biblioteca era talmente ricca e grande che fu costretto a cercarsi un’altra camera in affitto perché i volumi non c’entravano piú. Era diventato amico dei
principali librai di Firenze, soprattutto degli antiquari e dei rivenditori di volumi usati, e trascorreva con loro molto del suo tempo libero. La cosa che mi ha sempre colpito è la grande varietà di interessi che dimostravano le sue scelte. Oltre ai libri di storia (e di legge, perché, per ragioni ereditarie, dovette prendersi anche una laurea in Giurisprudenza) possedeva molti volumi d’arte, architettura, filosofia, economia. Ma soprattutto i romanzi e la poesia erano le sue grandi passioni (tanto da far sospettare che, se avesse potuto - cioè: se il suo burbero padre non si fosse opposto -, avrebbe studiato volentieri la letteratura, o si sarebbe dedicato a essa).
Dalla Germania - dove era andato con una borsa di studio e tornato alla vigilia dell’avvento del nazismo - riportò cinque bauli colmi di libri rari. Quasi tutti questi volumi (soprattutto quelli in lingua straniera) andarono perduti durante la guerra. In parte furono bruciati dalla moglie di suo fratello (timorosa che tra di essi potesse esserci qualcosa di compromettente), e un buon numero fu sequestrato dalla polizia fascista nella sua camera in affitto, durante una perquisizione, dopo l’8 settembre 1943.
Su tutti i fronti dove mio padre combatté (Albania, Macedonia, le montagne sopra Bergamo, dove fu comandante di una banda partigiana), ebbe sempre problemi di “sovrappeso”: il suo zaino era ogni volta troppo ingombrante, a causa dei libri dai quali non si separava mai. Una sola volta, con grande dolore, dovette farlo, fuggendo dalle montagne della Grecia, a causa di un improvviso attacco dei partigiani locali. Chissà cosa avranno pensato quei coraggiosi greci quando, fra le cose abbandonate tra la neve di quel campo italiano, trovarono decine di volumi dei poeti classici, in greco antico?!
Mio padre raccontava spesso che, durante le lunghe giornate trascorse nascosto in montagna, nell’ultimo anno di guerra, la compagnia dei suoi libri, che era riuscito a portare con sé, gli permise di non impazzire, sopportando la tensione e la paura di essere catturato dai tedeschi. Quando i partigiani liberavano una città, la sua prima preoccupazione era quella di riaprire la locale biblioteca, perché gli sembrava il primo atto del ritorno alla vita normale.
Dopo il 1945 dovette ricominciare tutto da capo. Tra servizio militare, guerra d’occupazione e guerra partigiana, se ne erano andati via otto anni della sua vita (quelli, forse, piú importanti per mettere a frutto gli studi e le letture fatte). Quasi tutti i suoi libri e gli appunti erano spariti. Con i pochi soldi che aveva, riprese a comprare libri, anche se era penetrato in lui (come in molti che avevano conosciuto le tragedie della guerra) un certo senso di precarietà e un bisogno di leggerezza. Frequentava perciò assiduamente le biblioteche. Finí che lo nominarono direttore delle Biblioteche Comunali fiorentine.
Quando nostra madre lo conobbe ebbe la giusta impressione che, solo tra tutti quei volumi, stesse come “un topone nel formaggio”. La sua stanza in casa, alla quale era vietato l’ingresso a noi bambini, era completamente foderata di libri, ordinati in piú file, che davano un senso di tranquillità e di calore. Da piccoli ci portava a giocare ai giardinetti: sempre con un libro in una mano e, nell’altra, un limone (che, ahimè, serviva come disinfettante nel caso ci sbucciassimo un ginocchio). Anche quando eravamo piú grandi, non ci prestava volentieri i suoi libri: erano una parte di lui, della quale si privava con difficoltà. Preferiva comprarci tutti i volumi dei quali avevamo bisogno o desiderio, anche se lui già li possedeva (ci aveva aperto un conto alla Libreria Feltrinelli).
In salotto stava seduto in poltrona: ascoltava la musica alla radio e aveva la faccia sempre nascosta da un libro. Da dietro le copertine, come in un quadro di Magritte, emergevano delle pastose e profumate volute di fumo di una marca di sigarette inglesi che fumava in continuazione (le Senior Service).
Ogni nuovo libro che entrava in casa (persino quelli di scuola) veniva da lui sfogliato, valutato e persino… annusato. È questo un vizio che ho ereditato. Ciascun libro ha un suo proprio odore (inchiostro, colla, carta): piú di una volta, in libreria, siamo stati sorpresi, con nostro padre, nell’atto abbastanza buffo e inconsueto di immergere la faccia in mezzo alle pagine di un volume per assaporarne il profumo.
Anche sotto questo aspetto ci ha trasmesso l’amore per i libri, come lo trasmise ai suoi studenti dell’Università di Genova. Mi capita ogni tanto di incontrarne qualcuno che ricorda prima di tutto questa grande passione e rispetto per i libri che il professor Cataluccio gli aveva insegnato.

Il futuro
Fare libri costerà poco e anche nell’editoria sarà possibile venire incontro a una delle tendenze del nostro mondo ipermoderno: i consumatori diventeranno parte attiva della produzione. Non è infatti piú possibile pensare di tenere fuori dal mondo dei libri e dei giornali gli acquirenti-fruitori, che vogliono essere sempre piú coinvolti, perché la tecnologia li ha abituati a essere protagonisti, a creare contenuti.
Gli editori però saranno sempre necessari, anche in assenza di libri di carta. La loro fondamentale funzione di scoperta, scelta, sollecitazione, azzardo, consiglio, correzione, sarà ancora essenziale per produrre buone opere, per tramandare, rinnovandola, la tradizione e allargare l’orizzonte culturale. Nel momento in cui l’opera letteraria diventerà, come in parte è già, sempre piú simile alla produzione cinematografica (in cui molte persone concorrono, con diverse competenze, alla realizzazione del prodotto finale), l’editore, e il suo editor, saranno le figure che renderanno possibile e garantiranno la qualità dell’opera letteraria o saggistica. L’editore costituirà il momento creativo dell’evento letterario, spesso piú dell’autore (o degli autori). Venendo a mancare la materialità del libro, e divenendo meno certa la natura dell’autore, si rafforzerà e assumerà maggiore importanza la figura dell’editore (come già succede, per esempio, nell’editoria scolastica).
Molti mestieri, legati alla filiera produttiva e distributiva del libro, spariranno invece piuttosto rapidamente. Cosa sopravviverà dell’editoria tradizionale?
a) Gli autori: sono i creatori dei contenuti dei libri. La loro creatività avrà nuove strade attraverso le quali esprimersi. Il libro elettronico fa già intravedere interessanti percorsi interpretativi. La libertà dalle rigidità della carta stampata, la possibilità di inventare degli ipertesti e l’interazione con le immagini e i suoni faranno sí che i libri del futuro saranno molto diversi da quelli che abbiamo conosciuto sinora. I link (che permettono di evidenziare una parola e aprire una o piú “finestre” connettendosi ad altri testi, immagini, musiche) rendono i libri elettronici aperti a infiniti percorsi narrativi e di approfondimento.
b) Di conseguenza, anche i traduttori rimarranno figure centrali dell’industria libraria. Il loro ruolo di mediatori tra lingue e culture diverse è sempre stato fondamentale nelle varie civiltà. Tanto che spesso, e giustamente, i traduttori venivano venerati come santi (per esempio, la Chiesa armena ha una festa dei Santissimi Traduttori). Anche se un giorno dovessimo, com’è accaduto con il latino nell’antichità, parlare e leggere tutti in inglese, il ruolo dei traduttori, rispetto a quattromila anni di storia passata, sarebbe comunque necessario (anche perché i paesi anglosassoni continuano a essere avari di traduzioni e, nella maggior parte dei casi, poco attenti alla fedeltà all’originale).
c) Ci sarà sempre bisogno dei redattori e degli impaginatori: i testi elettronici, pur essendo immateriali, dovranno essere ben curati, corretti e strutturati secondo il saggio criterio di rendere il piú possibile agevole la loro lettura e comprensione.
d) I grafici perderanno il controllo sulle copertine. I libri elettronici avranno una faccia molto sobria. Le copertine colorate (spesso veri capolavori di design) servono per catturare l’attenzione del compratore che passa tra i banchi affollati di una libreria. Questa funzione (che è anche quella di riconoscere a colpo sicuro una casa editrice o una collana) verrà meno. I grafici dovranno indirizzare la loro creatività solo sull’impaginato dei libri o la costruzione degli ipertesti.
e) Gli stampatori purtroppo spariranno. La conversione di un testo elettronico in un libro cartaceo, come avviene ancora oggi, per esempio con il print on demand, si ridurrà sempre di piú per ragioni economiche, ecologiche e soprattutto di abitudine a leggere sullo schermo. Sopravviveranno alcune tipografie specializzate nella stampa di libri d’arte, libri-oggetto-d’arte, libri per bambini piccoli (con i meravigliosi e insostituibili pop-up che rendono il libro cartaceo un gioco divertente) e le sempre piú diffuse graphic novel (che non sono semplici fumetti, ma un vero e proprio genere letterario che coniuga in modo assai suggestivo immagine e testo).
f) Spariranno anche i promotori: perché tutta l’attività di propaganda e raccolta degli ordini passerà in rete e non sarà piú indirizzata a convincere il libraio. Il rapporto tra il produttore e il lettore sarà diretto (tutt’al piú mediato da figure come, per esempio, i docenti che scelgono e adottano i volumi). Verso questi “mediatori”, capaci di procurare consistenti quantità di acquisti, dovrà essere indirizzata una promozione che, è facile immaginarlo, sarà tutta fatta per via elettronica (mail, invio di materiale promozionale ecc). Il nuovo marketing sarà interamente da inventare.
g) Come per tutte le altre merci, anche nel caso dei libri la distribuzione è diventata sempre piú importante e potente, assumendo spesso il controllo sia di librerie che di case editrici. Ma anche i distributori e i magazzini diverranno totalmente virtuali, con grandi risparmi di spazio e tempi di movimentazione dei volumi. I magazzini virtuali saranno infiniti: tutti i volumi (via via che quelli precedenti verranno digitalizzati) saranno disponibili e acquistabili. Non ci sarà piú macero delle rese e delle eccedenze.
h) Gli uffici stampa dovranno sin d’ora affrontare la sfida della promozione del libro elettronico. Inizialmente le redazioni dei giornali, e soprattutto i recensori, pretenderanno comunque la copia cartacea. Quando però i libri diventeranno solo immateriali, la promozione sarà fatta unicamente in rete e le modalità della propaganda prenderanno altre strade, e, del resto, gli stessi giornali e riviste saranno ormai da molto tempo disponibili solo su supporti informatici. Come si catturerà allora l’attenzione sul proprio libro? L’esposizione su un bancone, come una qualsiasi altra merce, finirà. L’acquisto del libro avverrà ancor di piú soltanto sulla base di tre fattori: il passaparola, l’obbligo, le recensioni. Già oggi, il passaparola è al primo posto nelle motivazioni d’acquisto dei libri (un passaparola fortemente inquinato dai passaggi televisivi e radiofonici: “Il libro di cui si è parlato da…”). L’obbligo significa che un libro viene acquistato perché serve a dare un esame o per un aggiornamento professionale. Le recensioni sono legate a un meccanismo sempre piú compromesso di autorevolezza e competenza, che da tempo è entrato in crisi, tanto che non è peregrina la domanda che già oggi molti si pongono: salvo qualche rara e pregevole eccezione, dove sono finiti i critici? La critica passerà in parte nei blog e nelle forme piú varie in cui si raccolgono “comunità di lettori”, come, per esempio, aNobii.it, che prende nome dall’Anobium punctatum, il tarlo della carta.
i) Le librerie, sparite purtroppo le edicole, sopravviveranno per qualche tempo. Soprattutto le grandi catene, capaci di forti sconti e maggior controllo sui costi di gestione, continueranno a esistere finché ci saranno libri cartacei (anche se il commercio di libri via internet, come dimostrano i successi di Amazon e ibs, toglierà loro sempre piú ossigeno, per ragioni economiche e di comodità). L’agente letterario americano Andrew Wylie ha notato: “Le grandi catene librarie saranno gradualmente rimpiazzate, e non è necessariamente un male: oggi si privilegiano pochi best seller sui libri di sostanza. Le vendite tipo Amazon garantiranno piú spazio a libri che oggi vengono schiacciati da titoli di facile presa. Ci sarà maggiore indipendenza e, potenzialmente, la resurrezione di un prodotto di qualità” (la Repubblica, 13/1/2010).
Il libro e la lettura sono stati per oltre duemilacinquecento anni, e soprattutto a partire dall’invenzione della stampa (nel 1450), la stessa cosa. Per questo, il libro elettronico è un manufatto rivoluzionario e, secondo molti, sconcertante (molto di piú, per esempio, dell’iPod per la musica). Al di là delle mutate abitudini di lettura e annotazione, l’eBook sarà un oggetto vivo, perché mai definitivo. Il libro elettronico può essere sempre ritoccato e modificato: sottoposto a un numero infinito di passaggi di revisione e correzione. Per i libri stampati nel passato, che verranno digitalizzati, si tratterà soltanto della possibilità di correggere i refusi, e di inserire eventuali aggiornamenti bibliografici. Ma per i libri futuri, almeno fino a quando saranno vivi gli autori, sarà possibile intervenire per trasformarli in continuazione, anche radicalmente, in pratica senza costi. Muterà quindi, sta già mutando, la natura stessa del libro. Il libro cartaceo è un’opera chiusa, quello elettronico è aperta e modificabile.
L’eBook cambierà profondamente lo statuto del Testo e dell’Autore. Si realizzerà ciò che auspicò Roland Barthes nella sua lezione inaugurale presso la cattedra di Semiologia letteraria del Collège de France (7 gennaio 1977): il ritorno al Testo in quanto emblema del depotere e capace di eludere all’infinito la parola gregaria (quella che si aggrega), anche quando cerca di ricostituirsi in esso. Il Testo spinge sempre piú lontano da sé, ricaccia altrove, verso un luogo non classificato. Secondo Barthes è finito il mito dello scrittore depositario di tutti i valori superiori: la letteratura stessa è desacralizzata. Non è piú “custodita”, grazie alla fine di quel personaggio che ha “infestato” l’ultimo secolo: lo scrittore depositario di tutti i valori superiori, il detentore della parola gregaria, il carceriere della parola. L’eBook permetterà di tenere un discorso senza imporlo.
Già da diversi anni, con le ricerche e la produzione di ipertesti la natura dei libri è cambiata: la differenza tra ciò che spetta all’autore dell’opera e ciò che va attribuito a coloro che la leggono e interpretano si è fatta difficile da afferrare. L’ipertesto permette di aprire un numero quasi infinito di link: collegamenti con altri testi, immagini e filmati, musiche. Il lettore non è piú passivo, ma interviene attivamente sul testo, di fatto modificandolo. La scrittura e la lettura diventano un fenomeno collettivo che coinvolge molti attori e strumenti espressivi. Il rapporto tra l’autore e il lettore diviene paritario e, sotto molti aspetti, egualitario. Anche il lettore è, in un certo senso, autore. Il contenuto diviene una nozione incerta e ambigua rispetto alla staticità della forma del libro cartaceo.
È piú facile immaginare il futuro dei libri analogici se si fa tesoro dell’esperienza, già sotto i nostri occhi, dei giornali e delle riviste, e della loro rapida evoluzione.
I giornali e le riviste, in forma cartacea, non sono in crisi perché la difficile congiuntura economica ha tagliato drasticamente gli introiti pubblicitari (che sono il motivo per cui sopravvivono, dato che il prezzo che si paga per acquistarli in edicola copre soltanto una minima parte del costo di produzione). Essi sono destinati a estinguersi in pochi anni perché il sistema dell’informazione e dell’approfondimento delle notizie passa sempre di piú su altri canali, piú economici ed efficaci. Se il mezzo nuovo è l’online, il nuovo messaggio sarà una combinazione di parole, suoni e immagini. Radio, tv e giornali non spariranno, ma la rivoluzione in corso avrà su di loro conseguenze maggiori di quella di Gutenberg. Sempre di piú si parlerà di social media. I giovani nati con internet si fidano infatti solo dei loro contatti personali. Sicché, per un editore – come ha sostenuto Roberto Civita, proprietario del Grupo Abril, il piú grande conglomerato mediatico dell’America Latina – il dialogo non è piú con i lettori, ma con i lettori che dialogano tra loro, e questo cambia la dinamica dell’impresa. Il giornalista deve essere multimediale, tenere un blog, avere un sito, usare podcast e videofonino.
Il “profeta della rete” Nicholas Negroponte ha idee molto chiare sul futuro dei giornali: “La carta sparirà, prima o poi. Non sparirà il giornalismo d’inchiesta o quello investigativo, che troveranno nuovi supporti sui quali basare le proprie fortune. Un giornale può essere ovunque, anche sullo schermo di un computer. […] Resta un grande problema di autorevolezza e di veridicità. È il lettore che decide a chi credere. La differenza tra un blogger e un giornalista, oggi, è che il secondo è un professionista pagato e il primo no. Ma anche questo cambierà. La realtà è che siamo solo all’inizio di un percorso nuovo e lungo. E che durante questo percorso emergeranno delle realtà nuove e diversamente autorevoli. Le vecchie istituzioni culturali si sono consolidate in un tempo molto lungo, non si può chiedere alla realtà della rete di creare istituzioni nuove e credibili in tempi cosí brevi” (la Repubblica, 15/1/2010).
Avanzerà una generazione di persone abituata a lavorare con libri immateriali, e che non avrà nessuna nostalgia della carta per il semplice motivo che non avrà avuto l’abitudine a maneggiarla. Già la prossima generazione studierà quasi esclusivamente su supporti informatici.
Vincerà chi saprà e vorrà produrre libri elettronici affidabili e di alta qualità editoriale (nel vecchio senso del termine). Infatti, finiti anche i libri nell’immaterialità del web, il rischio è che si smarrisca l’autorevolezza dei testi, frutto di una selezione basata su una valutazione estetica o scientifica. La rete è per sua natura “democratica”, ma non tutto quello che vi si trova ha lo stesso valore. Riuscire a selezionare sarà sempre piú complicato e difficile, a fronte di una proposta praticamente infinita e indistinta. Per questo sarà importante per il fruitore poter andare a colpo sicuro, avere una buona dose di certezza che il testo che sta per leggere sia affidabile sotto tutti gli aspetti.
I fattori decisivi per il futuro commerciale del libro saranno ancora, come sempre, le dimensioni e il prezzo. Come Voltaire aveva notato: “Venti volumi in folio non faranno mai le rivoluzioni: sono i piccoli libri portatili, da trenta soldi, che sono da temere. Se il Vangelo fosse costato mille e duecento sesterzi, la religione cristiana non avrebbe mai preso piede”. I libri elettronici non avranno praticamente dimensioni (se non lo spazio che i byte occupano nella memoria del lettore, del computer o in rete), saranno facilmente trasportabili, consultabili ovunque e costeranno pochissimo.
Di fronte a una rivoluzione radicale, che renderà i libri immateriali e per certi aspetti incerti, non piú chiusi e definitivi, sarà bene badare a salvare l’idea del libro. Ed è perciò utile riflettere sulla proposta di una sorta di “etologia del libro e della lettura” e riprendere le considerazioni che il sociologo e filosofo Ivan Illich fece a partire da un testo capitale come il Didascalicon (1128) del teologo e mistico Ugo di San Vittore, seguace di sant’Agostino. Nel libro intitolato Nella vigna del testo, l’autore mette a fuoco il momento in cui, dopo secoli di lettura cristiana, improvvisamente la pagina scritta si trasformò da partitura per pii borbottanti in testo organizzato otticamente a uso di pensatori logici. Prima si leggeva in pubblico e a voce alta; poi, leggere consistette nel formare la mente, in un ambiente isolato e silenzioso, sulla base di regole e precetti tratti dai libri. Trecento anni prima che entrassero in uso i caratteri mobili, la pagina scritta si trasformò da spartito a testo e permise di immaginarlo come un’entità distaccata dalla realtà materiale della pagina. Nacque cosí il “modo libresco” di considerare gli scritti che per otto secoli è stato il fondamento e il titolo di legittimazione delle istituzioni scolastiche occidentali. Vent’anni fa Illich poteva già affermare che si era giunti alla conclusione dell’era del libro: “Oggi il libro non è piú la metafora fondamentale dell’epoca; il suo posto è stato preso dallo schermo. Il testo alfabetico non è che uno dei tanti modi di codificare qualcosa che viene ora chiamato messaggio […]. Assistiamo alla dissoluzione della tecnica alfabetica nel miasma della comunicazione”.
Mai come in questo momento è necessario guardare lucidamente avanti. Senza trascurare di ragionare sui pericoli di un “totalitarismo informatico” (cybercollettivismo) che potrebbe confondere tutte le informazioni e i libri elettronici in un magma indistinto, nel quale non sarebbe piú possibile capire l’identità degli autori e valutare le differenze qualitative. L’unico valore rischia di diventare la quantità, perché, in effetti, l’algoritmo dei motori di ricerca online come Google presenta i risultati della ricerca di una parola-chiave secondo un ordine che è quello dei siti piú frequentati (cioè, quelli di maggior successo). La rete, secondo alcuni, può cadere preda di una falsa democrazia controllata dai violenti (“maoismo digitale”). C’è chi, come Jaron Lanier, che è stato uno dei pionieri della rete e di Second Life, si dichiara profondamente deluso: “Ai tempi della rivoluzione internet, io e i miei collaboratori venivamo sempre irrisi, perché prevedevamo che il web avrebbe potuto dare libera espressione a milioni di individui. Macché, ci dicevano, alla gente piace guardare la tv, non stare davanti a un computer. Quando la rivoluzione c’è stata, però, la creatività è stata uccisa, e il web ha perso la sua dignità intellettuale. Se volete sapere qualcosa la chiedete a Google, che vi indirizza a Wikipedia, punto e basta. Altrimenti, la gente finisce nella bolla dei siti arrabbiati, degli ultras, in cui ascolta solo chi rafforza le sue idee. […] Un coro collettivo non può servire a scrivere la storia, né possiamo affidare l’opinione pubblica a capannelli di assatanati sui blog. La massa ha il potere di distorcere la storia, danneggiando le minoranze, e gli insulti dei teppisti online fossilizzano il dibattito e dissolvono la ragione”.
È difficile però non vedere come internet e i libri elettronici favoriscano e favoriranno “la conoscenza come bene comune”. È questo l’argomento e il titolo del volume di Charlotte Hess ed Elinor Ostrom, vincitrice del Premio Nobel per l’Economia nel 2009. Le autrici affermano la necessità di considerare la conoscenza come bene disponibile per tutti gli esseri umani, al pari dell’acqua o dell’aria. Con la differenza fondamentale che la fruizione della conoscenza da parte di un soggetto non ne limita l’utilizzo da parte di un altro. Il dibattito sulla conoscenza come bene comune è molto vivace negli Stati Uniti, e dura ormai da alcuni anni. Dall’esito di tale dibattito dipende non poco l’assetto della società di domani. I problemi dell’accesso all’informazione, del digital divide, del copyright sono tutti legati a questo tema e sono decisivi per l’evoluzione delle società informazionali.