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Leviatano -Thomas Hobbes





lunedì 19 marzo 2012 legge Carlo Galli
La tesi di fondo del Leviatano è che l’intera struttura di una ordinata vita associata è resa possibile solo dalla politica, e non dalla morale tradizionale, né dalle teologie, e neppure dalla nascente economia. Da una politica assoluta è autonoma, scientificamente atteggiata, che ha in sé la forza di lasciarsi investire dalle questioni e dalle ragioni della morale e della teologia, e di reinterpretarle, che le assume in sé, che non se ne lascia fondare. Certo, Hobbes è l’eponimo di una politica categorialmente diversa e opposta rispetto a quella di Machiavelli, di una politica che segna di sé, istituzionalmente, la fase centrale e matura della modernità, l’età dello Stato – mentre quella dell’italiano è una politica laterale, centrata sul dinamismo delle contese più che sulla loro neutralizzazione, e più sul potere che sulla ragione, e come tale pur di enorme importanza nella storia del pensiero politico moderno, non è del tutto a suo agio nella dimensione della statualità e della cittadinanza, che ha la propria matrice nel razionalismo politico hobbesiano e nel suo disegno di neutralizzare giuridicamente il conflitto.
(dal saggio introduttivo di Carlo Galli al Leviatano di Thomas Hobbes, edizioni BUR-Rizzoli ottobre 2011 )


Thomas Hobbes, LEVIATANO, Cap. XIII, trad. Gianni Micheli
DELLA CONDIZIONE NATURALE DELL'UMANITÀ PER QUANTO CONCERNE LA SUA FELICITÀ E LA SUA MISERIA
La NATURA ha fatto gli uomini così uguali nelle facoltà del corpo e della mente che, sebbene si trovi talvolta un uomo manifestamente più forte fisicamente o di mente più pronta di un altro, pure quando si calcola tutto insieme, la differenza tra uomo e uomo non è così considerevole, che un uomo possa di conseguenza reclamare per sé qualche beneficio che un altro non possa pretendere, tanto quanto lui.
Infatti riguardo alla forza corporea, il più debole ha forza sufficiente per uccidere il più forte, o con segreta macchinazione o alleandosi con altri che sono con lui nello stesso pericolo.
E quanto alla facoltà della mente (lasciando da parte le arti fondate sulle parole, e specialmente quell'abilità di procedere sulla base di regole generali e infallibili, chiamata scienza, che molto pochi hanno e solo in poche cose, non essendo una facoltà naturale, nata con noi, né conseguita (come la prudenza) mentre ci si occupa di qualcos'altro io trovo tra gli uomini un’eguaglianza ancora più grande di quella della forza. Infatti la prudenza non è che esperienza, ed un tempo eguale la conferisce in egual misura a tutti gli uomini, in quelle cose in cui si applicano in egual misura. Ciò che può forse rendere incredibile una tale eguaglianza non è che un vano concetto della propria saggezza, che quasi tutti gli uomini pensano di avere in un grado maggiore del volgo, cioè di tutti gli uomini, tranne se stessi e pochi altri che approvano per la loro fama, o perché concordano con essi. Tale è infatti la natura degli uomini, che, per quanto possano riconoscere che molti altri sono più saggi o più eloquenti, o più dotti, pure difficilmente crederanno che ci siano molti saggi tanto quanto lo sono essi, poiché vedono il loro ingegno da vicino e quello degli altri uomini a distanza. Ma questo prova che gli uomini sono eguali in quel punto, piuttosto che diseguali. Infatti ordinariamente non c'è segno più grande di egual distribuzione di qualcosa, del fatto che ogni uomo è contento della propria parte.
Da questa eguaglianza di abilità sorge l'eguaglianza nella speranza di conseguire i nostri fini. E perciò, se due uomini desiderano la stessa cosa, e tuttavia non possono entrambi goderla, diventano nemici, e sulla via del loro fine (che è principalmente la loro propria conservazione, e talvolta solamente il loro diletto) si sforzano di distruggersi o di sottomettersi l'un l'altro. Onde accade che dove un aggressore non ha più da temere che il potere singolo di un altro uomo, se uno pianta, semina, costruisce o possiede un fondo conveniente, ci si può probabilmente aspettare che altri, preparatisi con forze riunite, vengano per spossessarlo e privarlo non solo del frutto della sua fatica, ma anche della sua vita o della libertà. E l'aggressore è di nuovo in un pericolo simile a quello in cui era l'altro.
Da questa diffidenza dell'uno verso l'altro non c'è via così ragionevole per ciascun uomo di assicurarsi, come l'anticipazione, cioè il padroneggiare con la forza o con la furberia quante più persone è possibile, tanto a lungo, finché egli veda che nessun altro potere è abbastanza grande per danneggiarlo; e questo non è più di ciò che la propria conservazione richiede, ed è generalmente concesso. Inoltre, per il fatto che ci sono alcuni che prendono piacere nel contemplare il proprio potere in atti di conquista, che essi spingono più lontano di quanto richieda la loro sicurezza, se gli altri, che diversamente sarebbero lieti di starsene quieti entro modesti limiti, non accrescessero con l'aggressione il loro potere, non sarebbero in grado, con lo stare solo sulla difensiva, di sussistere a lungo. Di conseguenza, tale aumento di dominio sugli uomini, essendo necessario per la conservazione dell’uomo, deve essergli concesso.
Ancora, gli uomini non hanno piacere (ma al contrario molta afflizione) nello stare in compagnia, ove non ci sia un potere in grado di tenere in soggezione tutti. Ogni uomo infatti bada che il suo compagno lo valuti allo stesso grado in cui egli innalza se stesso; e ad ogni segno di disprezzo o di scarsa valutazione, naturalmente si sforza, per quanto osa (e ciò tra coloro che non hanno alcun potere comune che li tenga quieti, è di gran lunga sufficiente a far sì che si distruggano l'un l'altro) di estorcere una valutazione più grande, da quelli che lo disprezzano arrecando loro danno e dagli altri con l'esempio.
Cosicché nella natura umana troviamo tre cause principali di contesa: in primo luogo, la competizione, in secondo luogo la diffidenza, in terzo luogo la gloria.
La prima fa sì che gli uomini si aggrediscano per guadagno, la seconda per sicurezza, e la terza per reputazione.
Nel primo caso gli uomini usano violenza per rendersi padroni delle persone di altri uomini, delle loro donne, dei loro figli, del loro bestiame; nel secondo caso per difenderli; nel terzo caso per delle inezie, come una parola, un sorriso, un’opinione differente, e qualunque altro segno di scarsa valutazione, o direttamente nei riguardi delle loro persone, o di riflesso nei riguardi della loro parentela, dei loro amici, della loro nazione, della loro professione o del loro nome.
Da ciò è manifesto che durante il tempo in cui gli uomini vivono senza un potere comune che li tenga tutti i soggezione,essi si trovano in quella condizione che è chiamata guerra e tale guerra è quella di ogni uomo contro ogni altro uomo.
La GUERRA, infatti, non consiste solo nella battaglia o nell'atto del combattere, ma in un tratto di tempo, in cui è sufficientemente conosciuta la volontà di contendere in battaglia; perciò la nozione del tempo va considerata nella natura della guerra, come lo è nella natura delle condizioni atmosferiche.
Infatti, come la natura delle condizioni atmosferiche cattive non sta solo in un rovescio o due di pioggia, ma in una inclinazione a ciò di parecchi giorni insieme, così la natura della guerra non consiste nel combattimento effettivo, ma nella disposizione verso di esso che sia conosciuta e in cui, durante tutto il tempo, non si dia assicurazione del contrario.
Ogni altro tempo è PACE.
Perciò tutto ciò che è conseguente al tempo di guerra in cui ogni uomo e nemico ad 0gni uomo, è anche conseguente al tempo in cui gli uomini vivono senz'altra sicurezza di quella che la propria forza e la propria inventiva potrà fornire loro. In tale condizione non c'è posto per l'industria, perché il frutto di essa è incerto, e per conseguenza non v'è cultura della terra, né navigazione, né uso dei prodotti che si possono importare per mare, né comodi edifici. né macchine per muovere e trasportare cose che richiedono molta forza, né conoscenza della faccia della terra, né calcolo del tempo, né arti, né lettere . né società, e quel che è peggio di tutto, v’è continuo timore e pericolo di morte violenta, e la vita dell'uomo è solitaria, misera, sgradevole, brutale e breve.
Può sembrare strano a chi non abbia bene ponderato queste cose che la natura abbia così dissociato gli uomini e li abbia resi atti ad aggredirsi e distruggersi l'un l'altro e perciò, non fidandosi di questa inferenza, tratta dalle passioni, può desiderare forse che gli sia confermata dall'esperienza. Perciò, consideri tra sé che, quando intraprende un viaggio, si arma e cerca di andare bene accompagnato; che quando va a dormire, chiude le porte; anche quando è nella sua casa, chiude i forzieri e ciò quando sa che ci sono leggi e pubblici ufficiali armati per vendicare tutte le ingiurie che gli dovessero essere fatte; quale opinione egli ha dei suoi con sudditi , quando cavalca armato; dei suoi concittadini, quando chiude le porte; dei suoi figli e dei suoi i servitori, quando chiude i forzieri. Non accusa egli l'umanità con le sue azioni, come faccio io con le mie parole? Ma nessuno di noi accusa in ciò la natura dell'uomo. I desideri e le altre passioni dell’uomo, in se stessi, non sono peccato. Neppure lo sono le azioni che procedono da quelle passioni, finché non si conosce una legge che le vieta: tali leggi . finché non si sono fatte, non possono essere conosciute, e non si può fare alcuna legge, finché non ci si è accordati sulla persona che la deve fare. Si può per avventura pensare che non vi sia mai stato un tempo né una condizione di guerra come questa, ed io credo non ci sia mai stata generalmente in tutto il mondo, ma ci sono parecchi luoghi ove attualmente si vive così. Infatti, in parecchi luoghi dell'America, i selvaggi, se si eccettua il governo di piccole famiglie la cui concordia dipende dalla concupiscenza naturale, non hanno affatto un governo, e vivono, oggigiorno, in quella maniera brutale che ho detto prima. Comunque, si può percepire quale maniera di vita ci sarebbe ove non ci fosse il timore di un potere comune, dalla maniera di vita in cui sono usi degenerare gli uomini che già hanno vissuto sotto un governo pacifico, una guerra civile.
Ma anche se non ci fosse mai stato un tempo in cui i particolari fossero in condizione di guerra l'un contro l'altro, tuttavia in tutti i tempi, i re e le persone dotate di autorità sovrana, a causa della loro indipendenza, si trovano ad avere continue gelosie, e ad essere nello stato e nella posizione dei gladiatori che stanno con le armi puntate e gli occhi fissi l'uno sull'altro, cioè, con forti, guarnigioni e cannoni alle frontiere dei loro regni e con spie continuamente nei territori che sono vicini a loro; ciò è una posizione di guerra. Ma per il fatto che così essi sostengono l'industria dei loro sudditi, non segue da ciò quella miseria che accompagna la libertà dei particolari.
A questa guerra di ogni uomo contro ogni altro uomo consegue anche questo, che niente può essere ingiusto. Le nozioni di ciò che e retto e di ciò che è torto, della giustizia e dell'ingiustizia non hanno luogo qui.
Dove non c'è potere comune, non c'è legge; dove non c'è legge, non c'è ingiustizia. La forza e la frode sono in guerra le due virtù cardinali. La giustizia e l'ingiustizia non sono facoltà né del corpo né della mente. Se lo fossero, potrebbero essere in un uomo che fosse solo al mondo, così come i suoi sensi e le sue passioni. Esse sono qualità che sono relative agli uomini in società, non in solitudine. Consegue anche alla medesima condizione:che non ci sia né proprietà né dominio, né un mio e un tuo distinti, ma che ogni uomo abbia solo quello che può prendersi e per tutto il tempo che può tenerselo. E ciò basti per quel che riguarda la triste condizione in cui è effettivamente posto l'uomo dalla pura natura, benché egli abbia una possibilità di uscirne: essa si trova in parte nelle passioni e in parte nella sua ragione.
Le passioni che inclinano gli uomini alla pace sono il timore della morte, il desiderio di quelle cose che sono necessarie per condurre una vita comoda, e la speranza di ottenerle mediante la loro industria.
La ragione poi suggerisce convenienti articoli di pace su cui gli uomini possono essere tratti ad accordarsi. Questi articoli sono quelli che vengono altrimenti chiamati leggi di natura; di esse parlerò più particolarmente nei due capitoli seguenti.