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La primavera araba. Quali rivoluzioni nel Mediterraneo?




lunedì 02 aprile 2012 legge Augusto Valeriani
La "primavera araba" che, a partire dal dicembre tunisino del 2010 ha in pochi mesi messo in discussione molti dei paradigmi consolidati rispetto agli equilibri politici e sociali della regione MENA, ha molto a che vedere con la rete e con il web 2.0. Questo non perché i sollevamenti contro i regimi autoritari, che stanno ancora oggi infiammando il mondo arabo, siano stati "causati" dai social media e neppure perché l'apice della loro onda d'urto destabilizzante sia nell'attività online. Le rivoluzioni, anche nell'era di Facebook, si fanno in piazza, così come il loro motore è la frustrazione politica, economica e sociale che cresce fino ad esplodere e non semplicemente una conversazione su Twitter. Il fattore davvero rilevante nelle forme dei movimenti sociali che hanno caratterizzato la Primavera Araba non è, infatti, tanto -o soltanto- nell'utilizzo indistinto degli strumenti di internet da parte dei manifestanti durante i giorni caldi delle proteste. L'elemento realmente innovativo, 2.0, di queste "rivoluzioni" va cercato ancora prima nell'appropriazione della "cultura" e della "struttura relazionale" della rete da parte di un'élite regionale di connectors, un soggetto collettivo che potremmo definire "intellettuali tecnologici".


Da : Wael Ghonim, Rivoluzione 2.0, Rizzoli, .2012
In Rete e per le strade
(…) Mentre lavoravo alla pagina Facebook «Kullena Khaled Said» sapevo che avrei dovuto prestare attenzione a mantenere l'anonimato, amministrando il sito senza mai lasciar trapelare la mia vera identità o il luogo in cui mi trovavo. Mi servivo di un software di anonimato (Tor) che, collegandosi a un proxy, cioè a un filtro, modificava costantemente il mio indirizzo IP, nascondendo la mia posizione e mascherandola dietro indirizzi provenienti da altri Paesi. Non aprivo mai allegati ricevuti via e-mail a meno che non fossero file di testo o immagini, che comunque visualizzavo prima su Gmail, senza scaricarli sul computer; in questo modo mi accertavo che gli allegati fossero privi di virus: la polizia segreta poteva anche non disporre di molti geni informatici, ma dovevo comunque prestare attenzione. Inoltre, lavoravo su Mac OS, che ritengo più sicuro rispetto ai diffusi sistemi operativi della Microsoft. Grazie a questi provvedimenti, Abdelrahman e io potevamo non preoccuparci delle minacce e degli insulti ricevuti via posta elettronica; oltretutto le persone che conoscevano la nostra vera identità si potevano contare sulle dita di una mano.
Il 19 giugno, il giorno seguente alla Protesta del silenzio, decisi di condurre un sondaggio d'opinione per scoprire quali fossero state le reazioni alla manifestazione e pubblicare i risultati online. Postai un questionario chiedendo ai membri della pagina di partecipare, e lo fecero in più di cinquemila. I risultati contribuirono a rafforzare lo spirito di democrazia partecipativa del sito.


Come hanno reagito gli uomini della
sicurezza alla tua partecipazione alla
protesta?
47% Non mi hanno nemmeno rivolto la parola
32% Mi hanno parlato e ho mantenute la calma 15% Mi hanno parlato e non ho avuto reazioni
6%. Mi hanno provocato e mi sono innervosito
Credi che la Protesta dei silenzio sia stata efficace?
28% Molto efficace
38% Soddisfacente
3% Non efficace
12% Inutile
19% Non mi interessa
Se non hai preso parte alla protesta, perché
non hai partecipato?
6% Avevo paura
4% Dovevo sostenere degli; esami
6% Non ne avevo voglia
16%. Dovevo lavorare
25% ! miei genitori non me l’avrebbero permesso
20% Non vivo in Egitto
17% Non mi ha convinto
6% Non sapevo quando sarebbe avvenuta
Parteciperai alla prossima protesta?
39% Sicuramente
39% Molto probabilmente
22% Non ci sarò


Molti tra coloro che risposero al questionario non erano attivisti politici né avevano avuto modo di sperimentare il brutale trattamento che il ministero degli Interni riservava alle proprie vittime.
Il sondaggio dimostrò l'entusiasmo di chi aveva condiviso l'esperienza della protesta e la sua volontà a ripeterla, confermando inoltre che i partecipanti erano persone comuni e che molti altri avrebbero voluto unirsi ma non avevano potuto perché ostacolati dai genitori che temevano per la loro incolumità. Era comprensibile, considerato che più del 70 per cento dei membri della pagina aveva meno di ventiquattro anni, ossia erano ancora in gran parte studenti che vivevano con la propria famiglia. L'arma della paura, impugnata per decenni dall'apparato della Sicurezza, aveva dimostrato la propria efficacia con le generazioni precedenti, ma diventava sempre più chiaro che ora con i giovani egiziani essa non avrebbe più funzionato. Risposi ai nostri iscritti confessando lo scetticismo che, pur senza rivelarlo, avevo provato prima della dimostrazione.

Voglio essere onesto con voi... Non credevo che ci saremmo riusciti, ma ho fatto quello che ho potuto... A mia moglie ho perfino detto che con questa protesta mi sembrava di sprecare il mio tempo... Ora invece ho una storia da raccontare a mio figlio e mia figlia quando saranno più grandi . e ancora non abbiamo fatto nulla... Tutto ciò che abbiamo fatto è stato rivendicare la nostra fiducia in noi stessi e la certezza di essere uniti come se fossimo una soia persona,
593 mi piace - 118 commenti

Il venerdì successivo il numero di accessi alla pagina registrò un incremento considerevole. Fino a quel giorno gli utenti che assegnavano un «mi piace» ai post pubblicati quotidianamente non avevano mai superato in media i cinquemila e i commenti non erano mai stati più di settemila. Quel venerdì, invece, il numero dei «mi piace» toccò i 37mila e i commenti arrivarono a 120mila. Il messaggio era molto chiaro: aver preso l'iniziativa nel mondo reale aveva accresciuto il livello di interazione tra i membri della pagina, fattore essenziale perché continuasse a vivere.
Anche la natura dei commenti cambiò in modo significativo: la pagina iniziò a sviluppare una propria cultura e i suoi iscritti cominciarono a provare un senso di appartenenza nei confronti di una comunità. I nostri membri sostenevano la causa di Khaled Said e la missione del sito, anche se nessuno di loro sapeva chi lo amministrasse.
Il ministero degli Interni pian piano realizzò che in questo mondo nuovo i suoi tradizionali metodi di oppressione non avrebbero più funzionato.
Il 19 giugno, il primo ministro Ahmed Nazif (ora sotto processo con l'accusa di corruzione) dichiarò al quotidiano «Al-Dustour» di essere interessato al caso di Khaled Said e che, se gli agenti della polizia segreta fossero stati condannati, sarebbe stata fatta giustizia. In breve, il regime stava cercando di arruolarci. Per quanto parziale, si trattava comunque di una vittoria: in genere i funzionari di governo evitavano sistematicamente di parlare degli episodi di violazione dei diritti umani; questa volta, invece, la forte pressione portò il caso al centro della sfera pubblica. La dichiarazione del primo ministro in merito al caso di Khaled dimostrò che la pressione esercitata dai media e su Internet, accanto alle proteste e alle contestazioni, aveva sicuramente catturato l'attenzione del regime.

Continuavo a festeggiare ogni minima vittoria per contrastare gli scettici, celebrando ogni piccolo passo ci avvicinasse ulteriormente alla giustizia per Khaled.

Perché non ha assunto fin dall'inizio un atteggiamento simile, Nazif? Ciononostante, devo davvero ringraziarla: se fin da subito avesse punito ì colpevoli dell'aggressione contro Khaled Said, noi non avremmo unito le forze per combattere contro l'orribile trattamento riservato ai giovani d'Egitto. . Da oggi in poi non esiste più il governo... Il governo siamo noi.
456 mi piace 200 commenti
La solidarietà verso Khaled Said travalicò i confini nazionali e gruppi tunisini e yemeniti iniziarono ad aprire pagine Facebook per sostenere la nostra causa. Malgrado le controversie esistenti tra i giovani arabi su questioni insignificanti quali erano quelle calcistiche, Internet fornì un mezzo per unire le forze su problemi concreti. La pagina tunisina a sostegno di Khaled fu visitata da più di mille iscritti ad appena due giorni dalla sua apertura. Mi era sempre più chiaro che gli arabi, per quanto divisi potessero sembrare, condividessero un profondo odio comune. I precursori di quella che in seguito sarebbe stata definita «Primavera araba» erano tutti intorno a noi, anche se nessuno ancora sapeva che l'inverno stava per finire.

Questa è la nuova generazione araba... Mille tunisini si sono uniti per appoggiare la nostra causa per Khaled Said... Se i giovani di Facebook di questo Paese sì uniranno contro la corruzione e l'ingiustizia, l'Egitto diventerà una nazione migliore.
70 mi piace 68 commenti

Il giorno seguente la protesta, avvertii il bisogno di montare un video che raccogliesse le spettacolari immagini immortalate dai partecipanti, accompagnato da una canzone che esprimesse la situazione che stavamo vivendo. Gli egiziani apprezzano l'arte e ne sono profondamente influenzati. Sono convinto che le parole abbiano una forza maggiore quando sono accompagnate dalla musica. Dopo una lunga ricerca trovai La resurrezione degli egiziani di Haitham Said, un pezzo intriso dopo gli eventi seguiti alla partita di calcio Egitto-Algeria, le cui parole esprimono una presa di posizione forte contro chiunque pensi di poter attaccare il popolo. Era stato composto per unire gli egiziani dopo quanto era successo, senza tuttavia menzionare l'Algeria. Per me quelle parole erano ancora più appropriate se rivolte al ministero degli Interni.
Non avevo mai preparato un video prima di allora, ma non ero nuovo alle sperimentazioni e dopo tre o quattro ore di lavoro il filmato era pronto. Avevo utilizzato immagini della protesta del silenzio e di contestazioni precedenti che si sposassero con il testo della canzone e trasmettessero chiaramente il messaggio: «Noi, giovani egiziani, non rinunceremo ai nostri diritti».

L'Egitto ha dato i natali a uomini forti ... che brillarono nel cielo. Essi hanno sempre dimostrato fedeltà alla propria patria... vincendo tutte le paure che hanno dovuto affrontare. 190 mi piace 73 commenti

Più di cinquantamila membri guardarono il video nei giorni immediatamente successivi, trovando coinvolgente ed emozionante l'unione di immagini, testo e musica. Era qualcosa di diverso da quanto sono soliti fare legali e sostenitori dei diritti umani che si servono di dati e statistiche per ottenere sostegno; il video, infatti, creava un legame emotivo tra la causa e il pubblico cui era rivolto. Ma entrambi gli approcci sono ugualmente necessari.
Prima della fine della giornata di sabato, avevamo deciso di programmare un'altra Protesta del silenzio per il venerdì successivo. Numerose organizzazioni politiche avevano annunciato di avere in programma una manifestazione davanti a una delle principali moschee di Alessandria dopo la preghiera del venerdì, intorno alle 13. Molti tra gli iscritti alla nostra pagina si erano detti entusiasti di una nuova dimostrazione, in particolare dopo aver visto le immagini e il video.
Venerdì 18 giugno, ad Alessandria, al Cairo e Mansura, migliaia di giovani ragazzi e ragazze hanno lasciato le proprie case vestiti di nero e in atteggiamento di lutto per protestare lungo la corniche, volgendo le spalle alla strada mentre leggevano il Corano e la Bibbia... Pregavano per Khaled Said, che Dio lo abbia in gloria... Ad Alessandria la protesta ha avuto molto successo nei quartieri Cleopatra e Stanley e ne pressi della Biblioteca.
Questo venerdì molti giovani egiziani avranno già finito gli esami... Vogliamo riempire l'intero lungomare di Alessandria e quello di altre città.

Ecco i cambiamenti rispetto alla manifestazione precedente:
• A causa del caldo, l'orario sarà alle 18.30 invece che alle 17.
• I! coordinamento con i media sarà più efficace.
• Chiunque non partecipi potrà comunque manifestare la propria solidarietà inviando una propria foto che lo ritragga in piedi mentre esprime il proprio lutto per Khaled Said e le altre vittime della tortura in Egitto.
• Tutte le iniziative di Facebook questa volta uniranno le forze e, se Dio vorrà, la protesta avrà un successo maggiore rispetto all'ultima.
Chiediamo:
• L'apertura immediata di un'indagine giudiziaria su tutti i casi di tortura.
• L'invito ufficiale per ogni egiziano umiliato o torturato dalle forze di polizia ad appellarsi alle autorità giudiziarie competenti.
• Gli assassini di Khaled Said devono essere perseguiti a termini di legge.
Garantiamo che:
• Si tratterà di una protesta silenziosa: nessuna contestazione, nessun coro, nessuno striscione.
• Non sarà una manifestazione politica ma umanitaria, per esprimere solidarietà alle vittime delle torture nelle carceri... Per quanto riguarda i pollici, speriamo nella loro partecipazione, ma non dovranno trarre da essa alcun beneficio politico.


• Vogliamo dire al mondo intero che restiamo uniti... che ci amiamo a vicenda... che ci preoccupiamo l'uno dell'altro... e che Knaied Said e il simbolo di quanto accade regolarmente ai giovani egiziani...Non resteremo più in silenzio quando qualcuno di noi sarà ammazzato o torturato.

Ragazzi, questa volta vi chiediamo di diffondere questo invito a tutti.. . come e più di quanto non abbiamo fatto la volta scorsa... Spero che ciascuno di noi si impegni con tutte le forze per ottenere un successo ancora più grande.
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I membri della pagina erano sempre più ansiosi di conoscere l'identità, gli interessi e le idee dell'amministratore del sito; alcuni per semplice curiosità, altri invece erano sospettosi. Qualche commento, non molti in verità, accusava la pagina Facebook di appartenere a un movimento politico che intendeva sfruttare il caso di Khaled Saie a proprio vantaggio. Per gestire questa situazione, pubblicai un post intitolato Chi sei, amministratore?.
Ogni tanto ricevo un’e-mail o leggo il commento di qualcuno che mi chiede: «Chi sei. amministratore?». Ho deciso pertanto di rispondere a qualche domanda che potrebbe essermi rivolta in un'ipotetica conversazione.
Come ti chiami?Mi chiamo Khaled Said.
Mi chiame Abdul Samee Saber.
Mi chiamo Emad al-Kabeer.
Mi chiamo Abdul Razik Abdul Base:.
Mi chiamo Ahmed Saber.
Porto il nome di ogni egiziano che sia stato torturato e umiliato m Egitto.
Quanti anni hai?
Non posso dirlo con precisione, ma dal giorno in cui sono nato il nostro presidente è sempre So stesso... la corruzione è sempre la stessa... l'indifferenza e sempre la stessa... e un partito chiamato «Non c'è speranza- ha tenuto in pugno gli egiziani.

Sei parente di Khaied Said ?
Khaied Said ha risvegliato molti sentimenti dentro di me... Grazie a lui era so che posso fare la differenza... Che importanza ha se non siamo parenti?... È il fratello che non ho mai conosciuto.. Vorrei che gli informatori che l'hanno torturato non l'’vesserc ucciso perché potesse vedere quello che stiamo facendo per lui .

Perché fai tutto questo?
Quando ho visto la foto di Khaled Said dopo che era stato ucciso sono andato ne! mio studio, a casa, e per un po' non sono riuscito a smettere di piangere... Ho visto quanto gli egiziani fossero diventati timorosi, capaci di sopportare qualunque tipo di umiliazione... Ho deciso di cominciare da me stesso e cambiare tutto quello che stavo facendo di sbagliato, ed ecco perché ho creato questa oagina.
Ho pianto per Khaled più di quanto abbia mai fatto per la morte di un mio parente... E ogni volta che vedo una sua foto dopo le torture. mi sento abbattuto e giuro che farò tutto il possibile per combattere l'ingiustizia.

Chi ti sovvenziona?

Grazie a Dio le mie fonti di sovvenzione sono molte. Prima fra tutte la mia coscienza, che si è risvegliata... e che mi porta a dormire soltanto quattro ore per notte e a svegliarmi al riattino per correre subito a controllare la pagina prima ancora di lavarmi la laccia. La seconda è la mia istruzione. Sono grato di aver ricevuto una buona istruzione e di essere stato uno tra i migliori studenti all'università. Metto la mia istruzione al servizio del mio Paese. La terza, i miei figli. Temo che un giorno possano chiedermi: - Papa, perchè non hai fatto nulla quando hai visto che il tuo popolo veniva torturato?».
L'ultima, l'amore delle persone che non mi hanno mai visto, che io non vedrò mai e che non conoscono il mio nome... Ogni giorno ricevo da loro segni di gratitudine e preghiere... con i loro contributi loghi e video , promuovono la pagina e sostengono ovunque la causa di Khaled Said.

E quindi cosa vuoi, amministratore?
Ho creato questa pagina mantenendo l'anonimato non soltanto per proteggere me stesso da eventuali pericoli... ma anche perché tutto ciò che voglio è che il nostro Paese tomi di nuovo nostro... Sogno che un giorno le persone possano ancora amarsi reciprocamente e che nessuno dì noi tolleri più l'ingiustizia, che chiunque in questo Paese sia testimone di qualcosa di sbagliato cerchi di sistemarlo.,, e che un agente di polizia ci pensi mille volte prima di prendere a schiaffi qualcuno.
Non hai paura?

Certo che ne ho... La paura e un tratto distintivo degli esseri umani... Ma se ci saranno persone come voi che mi mostreranno solidarietà cosi come hanno fatto con Khated Said, allora ogni mia paura cesserà. .. Ognuno di noi, va incontro al proprio destino e. come dice il proverbio, - nessuno muore prima del tempo»... Un mio parente è morto a venticinque anni in un incidente stradale... perché il mio destino dovrebbe essere migliore del suo?
Molte persone npon crederanno a quello che ho scritto qui, maa giuro che mi è scaturito dal profondo del cuore. Amo davvero il mio paese e vorrei vedre tutti noi vivere in condizioni migliori… Non è mia intenzione suscitare una rivoluzione o un colpo di stato. .. Non mi considero affatto un leader politico … sono solo un normale egiziano che fa il tipo per l’Ahly, va nel suo caffè di quartiere e mangia semi di zucca … e si sente a terra quando la nostra nazionale di calcio perde una partita … insomma, voglio soltanto essere orgoglioso di essere egiziano … e non voglio che nessun cittadino innocente sia picchiato senza nemmeno poter esprimere la propria sofferenza.
Perdonatemi per questo piagnucolio, ma ho deciso di scrivere questo testo così ogni volta che qualcuno dovesse chiedermi “Chi sei, amministratore? Mi basterà inviargli questo link.
3761 mi piace 2122 commenti
Come tutti gli altri messaggi che ho pubblicato sulla pagina, anche questo lo scrissi senza averlo programmato. Scelsi un linguaggio più vicino al mio cuore che non alla mia mente. La reazione fu straordinaria: il testo conobbe un’ampia diffusione nella Rete e molti tra i miei amici lo pubblicarono sui propri siti senza sapere che ne fossi l’autore. Ricevetti centinaia di commenti d’incoraggiamento e di e-mail in risposta, e il post divenne il fondamento del legame virtuale tra i membri della pagina ed il suo anonimo amministratore.
Contare sugli inscritti per la creazione di contenuti che incoraggiassero tutti a manifestare le proprie opinioni e a discutere era essenziale: solo così saremmo riusciti a mantenere viva la causa di Khaled Said per estendere la nostra lotta alla tortura. Chiedevo regolarmente a tutti di partecipare: era fondamentale che ciascuno si sentisse responsabile e importante.
Ieri ho giurato davanti a Dio che dedicherò ogni giorno almeno 3 ore del mio tempo a denunciare ogni criminale. ladro o spia in Egitto... Non lascerò che questo Paese affondi... E non ho certo intenzione di farlo da solo: voglio che tutti voi siate con me, voglio che tutti voi sentiate che dobbiamo cambiare l'Egitto,
236 mi piace 67 commenti
Mi rivolgo a chiunque abbia uri talento per la scrittura, il disegno, la grafica, la realizzazione di video... Dobbiamo fare tutto quello che possiamo per promuovere la giornata della Protesta del silenzio con milioni di persone in nero per piangere le vittime della tortura in Egitto... Spero riusciate a donare un po' del vostro tempo perché il vostro lavoro possa essere visto da migliaia di persone... Quel giorno tutti gli egiziani devono scendere per le strade
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Quando le persone si accorgono che i loro talenti sono apprezzati li coltivano con maggiore passione. Ai membri piaceva che le proprie creazioni ricevessero migliaia di commenti. Decisi così di aprire un sito in cui pubblicare le poesie, gli articoli e i progetti grafici dei nostri iscritti perché nulla in futuro andasse perduto, e lo chiamai Il Martire..
Chiesi a un ragazzo di nome Amr El-Qazzaz di occuparsene. Amr, ventun anni, era un blogger molto attivo che una volta era stato arrestato dalla polizia segreta per la sua attività di giornalista indipendente. Comunicava regolarmente con me, ossia con l'anonimo amministratore della pagina Facebook, e aveva espresso il desiderio di dare una mano. Gli assegnai l'incarico di raccogliere sul sito tutti i nuovi testi, i filmati e le fotografie, perfino le poesie, su Khaled Said. Il mondo è piccolo: soltanto qualche mese dopo Amr avrebbe giocato un ruolo fondamentale.
Pochi giorni dopo l'apertura del Martire, ricevetti un messaggio sull'account di posta elettronica «Kullena Khaled Said» da Mohamed Ibrahim, un egiziano che viveva nel Regno Unito (all'epoca tuttavia non conoscevo ancora il suo nome) e che esprimeva la propria solidarietà alla causa. Si offriva di apportare il proprio contributo per diffondere su scala internazionale la nostra campagna di sensibilizzazione sul caso di Khaled Said.
«Certo, abbiamo bisogno del tuo aiuto» gli risposi subito e gli chiesi se fosse possibile creare una versione inglese del sito per raccontare al mondo la storia di Khaled.
Mohamed ne fu entusiasta e lavorò per venti ore filate alla versione inglese del sito: www.elshaheeed.co.uk. Qualche tempo dopo, decise di aprire su Facebook una versione inglese di «Kullena Khaled Said», ovvero «We are Ali Khaled Said». Il suo obiettivo era raggiungere il pubblico non arabofono interessato a questo caso e alla situazione dei diritti umani in Egitto.
Appena la pagina fu aperta, ne postai il link su «Kullena Khaled Said», ringraziando il suo anonimo amministratore e ribadendo che questa nuova generazione di egiziani non si sarebbe fermata. Tuttavia, ben presto ricevetti numerosi commenti critici nei confronti del nuovo sito, inviati da egiziani sensibili all'interferenza internazionale negli affari interni del nostro Paese. Era essenziale assicurarsi che la maggior parte degli iscritti non fosse infastidita dall'idea di una versione inglese della pagina, perciò lanciai un sondaggio e il 78 per cento tra i più di 1355 utenti che vi presero parte si disse favorevole a comunicare il nostro messaggio al resto del mondo.
Nei mesi successivi, la pagina inglese contribuì in modo significativo a guadagnare l'appoggio di persone provenienti da tutto il mondo. Di volta in volta Mohamed postava sulla pagina «We are ali Khaled Said» commenti in inglese inerenti al caso e i membri della pagina in arabo ne erano profondamente incoraggiati. Io e Mohamed ci tenevamo in contatto e lavoravamo in modo anonimo (venni a sapere il suo vero nome subito dopo la rivoluzione).
Due giorni prima della seconda Protesta del silenzio, programmata per il 25 giugno, il Pnd annunciò una marcia di bambini che «casualmente» si sarebbe tenuta alle 17 sul lungomare di Alessandria. Si trattava di una nuova tattica del regime: controllare le voci del nuovo movimento giovanile entrando in competizione con loro e non cercando di sgominarle. Poiché nella prima manifestazione i tradizionali metodi di polizia si erano dimostrati inefficaci, forse perfino dannosi, avevano deciso di impiegare la nostra stessa logica e i nostri stessi mezzi contro di noi.
La differenza stava nel fatto che chi avrebbe preso parte alla loro manifestazione non era motivato quanto noi.
Numerosi gruppi politici come Kifaya, l'Associazione nazionale per il cambiamento, la Gioventù di giustizia e libertà e il Movimento 6 aprile annunciarono che avrebbero protestato davanti alla moschea Al-Ibrahim ad Alessandria subito dopo la preghiera del venerdì. La zona circostante l'edificio era gremita di migliaia di manifestanti circondati da un cordone di macchine della polizia e da agenti delle forze dell'ordine in tenuta antisommossa. Quel giorno la protesta ebbe particolare successo e anche Mohamed El Baradei arrivò appositamente dal Cairo per prendervi parte.
Chiesi a Mostafa al-Nagar se El Baradei si sarebbe unito alla Protesta del silenzio, dato che la sua presenza avrebbe contribuito a .portare le iniziative della pagina «Kullena Khaled Said» sotto i riflettori dei media a livello sia locale sia internazionale. Dopo aver partecipato alla manifestazione, El Baradei si aggiunse alla protesta lungo la corniche, vestito di nero come gli altri attivisti, inclusi Ayman Nour e la nota conduttrice televisiva Bothaina Kamel. Fu un momento memorabile, che venne ripreso, e anche se non era mai stata intenzione della nostra pagina Facebook promuovere El Baradei come simbolo di cambiamento, postai la sua fotografia mentre si trovava accanto agli altri manifestanti. Fu la prima e l'ultima volta che sul sito comparve una sua foto; lo feci soltanto per sostenere la nostra causa, senza alcun secondo fine politico.
La seconda Protesta del silenzio ebbe un enorme successo. Il numero dei partecipanti era aumentato significativamente e la manifestazione si era svolta in dieci diverse località egiziane. Per le forze di polizia fu un incubo, ma anche in questo caso non aggredirono alcun dimostrante. La nostra idea si stava diffondendo e questa volta fu messa in diretta relazione con le forze politiche d'opposizione.
Continuammo a postare le immagini inviate dai nostri membri. Uno dei partecipanti aveva deciso di buttarsi in acqua e restare un'ora fra le onde per esprimere la rabbia e il dolore che provava. Un'altra foto ritraeva un padre, una madre e un bambino di pochi mesi; la didascalia, scritta dal padre, diceva:
«L'ho portato qui perché impari a prendere l'iniziativa e a non accettare le ingiustizie». Una delle immagini più toccanti mostrava un ragazzo con una gamba rotta che reggendosi su una stampella, era rimasto in piedi per più di trenta minuti. «Malgrado il dolore che provo, la sofferenza che sta patendo l'Egitto merita la mia solidarietà» commentava.
Durante la seconda protesta mi trovavo negli Emirati Arabi. Avrei dovuto trascorrere il fine settimana con i miei figli ma avevo detto a mia moglie che avrei passate il secondo weekend consecutivo lavorando nel mio studio. Per tutto il venerdì restai incollato davanti ai computer. Seguii quanto stava accadendo, grazie a Twitter e a quegli utenti che usavano il proprio cellulare per postare aggiornamenti sulla nostra pagina Facebook. Quella notte non dormii, occupato a pubblicare sul sito le immagini e i video ricevuti. Ci erano arrivati migliaia di contributi e, anche se era nostra intenzione pubblicarli tutti, dovevamo anche distillare gli aggiornamenti caricandoli un poco alla volta, per evitare di tempestare di informazioni gli iscritti, dato che tutto quello che postavamo veniva pubblicato direttamente sulle loro pagine personali.
Mia moglie era seccata perché ero di nuovo stato assente nel fine settimana. Da quando avevo cominciato a occuparmi di politica, restavo incollato a lungo sui social network e, tra il tempo che richiedeva il mio impiego e quello che a casa dedicavo alle mie iniziative, lavoravo più di sedici ore al giorno. Questo ovviamente sottraeva qualcosa alla mia vita privata, ma Uka, pur essendo contrariata, capiva ciò che provavo, conosceva la mia ostinazione e sapeva che avrei fatto quello che pensavo fosse giusto. Entrambi, inoltre, avevamo constatato che la seconda manifestazione aveva visto una partecipazione di gran lunga maggiore rispetto alla prima.
Annunciai la terza Protesta del silenzio per il 9 luglio, due settimane dopo la seconda, in parte per consentire alle persone di riprendere fiato e in parte, onestamente, perché avevo bisogno di trascorrere un po' di tempo con la mia famiglia, cosa che dichiarai apertamente perfino sulla pagina Facebook. Molti tra i membri pensavano che posticipare di una settimana la manifestazione fosse un errore e cercarono di convincermi ad annunciarla per il 2 luglio, ma io avevo bisogno anche di organizzare al meglio la copertura mediatica. Tuttavia, avvertivo l'importanza che la decisione definitiva fosse collettiva e perciò condussi un sondaggio sulla pagina chiedendo agli iscritti di esprimere la propria preferenza. Si raggiunse democraticamente una decisione e la terza Protesta del silenzio fu programmata per il 9 luglio.
Coloro che avevano preso parte alle prime due manifestazioni, e perfino alcuni che avrebbero voluto partecipare ma non avevano potuto, si mostravano sempre più speranzosi. Ciononostante, crebbero anche le voci dei pessimisti, i quali divennero i miei nemici online. A volte concessi loro più attenzione di quanta non ne meritassero, ma affrontarli era per me una necessità: il disfattismo e la disperazione erano un cancro diffuso nell'intera società egiziana. Assegnai a questo gruppo di individui il nome di «Partito "Non c'è speranza"» e decisi di redigere un breve articolo intitolato Abbas e l'Amministratore, nel tentativo di neutralizzare il potenziale effetto delle voci negative.

Abbas e l'Amministratore
Breve racconto con morale.
Dopo avere letto, siete pregati di rispondere alla seguente domanda: «-Siete l'amministratore di Abbas?».
L'ho incontrato al caffè di quartiere dopo la manifestazione. È vero, è mio amico da molto tempo, ma siamo due persone completamente diverse... Si chiama Abbas... un 'ragazzo tra i venti e i trent'anni... un lavoratore die pensa agli affanni propri... Le sue caratteristiche principali sono l'assuefazione all'indifferenza e l'amore per il pessimismo. Il suo motto? «Non mi interessa-. Il suo modello è quell'attore diventato famoso per la battuta «Non c'è più speranza-... Crede che più o meno tutto sia una perdita di tempo, eccetto il trascorrere tutta la serata al caffè fumando il narghilè e giocando a backgammon... Abbas non è soltanto un accanito sostenitore del pessimismo ma ne è anche un attivo promotore. Sospetta di tutti colore che si adoperano per il bene dell'Egitto e li critica giorno e notte... In questo modo può sentirsi meno in colpa e credere che. dal momento che non c'è speranza, tanto vale giocare a backgammon! L'no trovato seduto al caffè sembrava contento... Ho pensato che avesse finalmente sentito parlare della Protesta del silenzio e che avesse saputo che era stata un successo... Ho scoperto che era felice perché Portogallo e Brasile avevano pareggiato. Tifa per entrambe le squadre e voleva che entrambe si qualificassero per il mondiale Ho iniziato a parlargli della manifestazione, di quanto fosse stata fantastica . di come fossimo riusciti a costruire un legame fa noi giovani egiziani.
Abbas mi ha guardato di traverso e mi ha dette: -Ehi, amministratore, di che manifestazione stai parlando? voi ragazzi avete bisogno di svegliarvi e di sentire il profumo del caffè. Perché sprecate il vostro tempo in cose che non servono a nulla? È ora che pensiate alle vostre vite!
Amministratore: nessuno dice che il mondo possa cambiare in seguito a una manifestazione , ma alla fine, la nostra comune protesta di uomini e donne. musulmani e Cristiani, vecchi e giovani è la prova che possiamo unirci. E se il nostre numero crescerà lasceremo un segno concreto.
Abbas: Senti mi conosci da un sacco d tempo. Ti assicuro che nulla cambierà, non importa quello che fai... Se dimostrare non dovesse funzionare, pensi tornerà la calma?
Amministratore: Sai. questa protesta funzionerà. Non stiamo organizzando una manifestazione cui possano opporsi: non portiamo né sventoliamo cartelli o striscioni che possano provocarli e indurli a usare la legge d’ emergenza e non intoniamo cori... Ci vestiamo di nero in segno di lutto per la condizione nazionale da tutti criticata, e resteremo vestiti di nero finché non avremo riottenuto la nostra dignità, indosseremo abiti neri finché...
Abbas: Calma, cosa sono questi paroloni? Mi fai sentire come se fossimo tutti a Guantanàmo ... I! nostro Paese va più che bene e il fatto che sia accaduto qualcosa di minima importanza non significa che abbiamo dei problemi.
Amministratore: Il problema, Abbas, è che tu sei sprofondato così tanto nella tua indifferenza che hai smesso di cercare la verità. . Anche io, come te, pensavo che nel nostro Paese non ci fosse nulla di sbagliato e che gli incidenti fossero poca cosa... Poi ho capito che ogni giorno accadono catastrofi ma nessuno le nota. La polizia tortura sistematicamente le persone... gli informatori minacciano i cittadini e collaborano con i malviventi... la legge è applicata soltanto nei confronti di chi non può difendersi. Chiunque in questo Paese non abbia conoscenze importanti perde i propri dritti... e quando avviene un'ingiustizia tutti quelli che vorrebbero aprire la bocca per raccontare la verità subiscono minacce... Finché non è venuto a galla il caso di Knaled Said e tutti abbiamo scoperto la verità. Abbas, guarda tutti quei video postati su Facebook...
Abbas {interrompendo di nuovo il proprio interlocutore): Non ce la faremo, non c'è modo di cambiare. Questo è il loro Paese... non Io capisci!
Amministratore: No, non è il loro Paese... è il nostro, di noi egiziani! Ecco perché dobbiamo unirci per poterlo cambiare. Una nazione di 80 milioni di persone non può : essere controllato da qualche migliaio di individui. Ma non riusciremo mai ad esercitare i nostri diritti se continueremo a ripeterci che non c’è speranza… Così non accadrà nulla …
Abbas: Voglio guardare il commento alla patita tra Portogallo e Brasile..
Amministratore: Credimi Abbas... Sai qual è il problema dell'Egitto?
Che ci sono 80 milioni di Abbas... Ma, se Dio vuole, se anche solo mezzo milione si dovesse svegliare, rusciremmo a cambiare il nostro Paese... e ouelli come te se ne staranno seduti ad assistere a bordo campo o, . se dovessero essere sfortunati, subiranno il destino di Khaled Said perfino prima di poter guardare... Ma allora io non farò nulla per difenderti!
Mi chiedo quante persone tra quelle che stanno leggendo questo post siano come Abbas e quanti come l'Amministratore. Coraggio, ditemelo! Chi siete dei due?
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Il racconto servì ai membri della pagina per porsi alcune domande cui provarono a rispondere nei loro commenti. In seguito, molti degli iscritti, quando ebbero a che a fare con atteggiamenti pessimisti, citarono l'articolo dicendo: «Smettila di criticare! Non fare l'Abbas e comportati come un amministratore!».
Ben presto riportammo una vittoria, e pure notevole, da poter celebrare: - il regime arrestò i due sospetti assassini di Khaled Said.
Il caso era stato seguito da vicino da un avvocato del Centro El Nadeem per la riabilitazione delle vittime della violenza, un'organizzazione civile che da anni è in prima linea nella denuncia dei casi di tortura e nella difesa dei diritti umani. Il 1° luglio, il Centro El Nadeem pubblicò le registrazioni dell'interrogatorio dei due sospettati: le loro testimonianze erano in evidente contraddizione e molte delle loro dichiarazioni risultarono incoerenti. Risposi scrivendo un articolo dove sostenevo l'innocenza di Khaled Said, basandomi su materiale video di testimoni oculari e sulle dichiarazioni degli informatori. Era essenziale diffondere queste informazioni per tentare di contrastare la massiccia campagna di diffamazione che i media ufficiali conducevano ancora contro Khaled Said. (…)

Da: “ 70 chilometri dall’Italia” di Mehdi Tekaya /Global Voices Online
Edizioni ERETICA Stampa Alternativa 2011

I MOVIMENTI SOCIALI DI GASFA NEL 2008

All'inizio del 2008 la regione di Gasfa conosce uno dei movimenti sociali più importanti della storia recente della Tunisia che - con la distanza necessaria per un'analisi approfondita — potrebbe essere considerato quasi una 'prova generalle' della cosiddetta rivolta del gelsomino. La zona mineraria di Gasfa è situata nel sud-ovest del Paese, dietro le quinte della Tunisia più prospera e turistica. Il 6 gennaio 2008, in seguito a un concorso per il reclutamento di personale della Compagnia dei Fosfati di Gasfa (CPG), gli abitanti della zona si sono impegnati in una serie di azio¬ni di protesta durate 6 mesi e concluse con tre morti, deci¬ne di feriti e centinaia di arresti. La CPG è fra i primi produttori mondiali di fosfati e rappresenta in questa zona uno dei pochi sbocchi lavorativi per la popolazione. Dal 1980 una ristrutturazione dell'impresa ha portato alla soppressione di 10.000 impieghi. Per anni l'impresa non ha più assunto e la disoccupazione è aumen¬tata fino a raggiungere il 30%.
Le prime proteste hanno luogo nel 2007, quando gruppi di disoccupati bloccano i camion carichi di fosfati. Esplodono poi con gran forza il 5 gennaio 2008, quando vengono annun¬ciati i risultati del concorso di reclutamento: 380 operai e impiegati vengono prescelti, su migliaia di postulanti. La disil¬lusione è molto alta. Il 6 gennaio vengono bloccati i binari che collegano le cave alla fabbrica e viene fermata l'attività estrattiva. È nella città di Redeyef (37.000 abitanti) che la protesta : più forte: i simboli delle autorità e della compagnia vengo-10 attaccati, la popolazione prende parte a diversi sit-in, scio->eri della fame e manifestazioni. I disoccupati denunciano anche "il nepotismo nell'attribuzione dei posti alla CPG". Gli studenti dell'università cominciano a organizzarsi ed entrano in contatto con i leader sindacali della regione. Fino ad aprile, la strategia impiegata dalle autorità per arginare le proteste consiste nell'accerchiamento della città di Redeyef da parte della polizia. Il 7 aprile però la strategia cambia: più di venti membri ai vertici del movimento di protesta vengono arrestati. La repressione si fa più dura. Il 6 giugno la polizia spara contro i manifestanti di Redeyef. Un giovane di 25 anni, Hafnaoui al Maghazoui, viene ucciso, e una ventina fra manifestanti e poliziotti restano feriti. Il giorno seguente l'esercito occupa la città di Redeyef su ordine del presidente. I principali leader del movimento vengono arrestati e condannati a pene pesanti. Un mese dopo Ben Ali convoca nel suo palazzo una riunione straordinaria durante la quale presenta il suo "piano Marshall" per lo sviluppo della regione di Gasfa, con investi¬menti che ammontano a 499 milioni di euro, volti anche a favorire l'insediamento di imprese estere in Tunisia. Questo movimento ha dimostrato il limite della gestione securitaria del Paese e l'emergere di un'opposizione concre¬ta al regime che può contare su un forte appoggio popolare e che parte dalle regioni interne del Paese.
La politicizzazione di un movimento, rafforzatosi in seguito a rivendicazioni puramente sociali, ricorda le dinamiche delle recenti proteste che hanno portato Ben Ali alla fuga. Per i ricer¬catori Larbi Chouikha e Vincent Geisser, questa protesta ha “continuato a impregnare le memorie e serve, coscientemen¬te o inconsciamente, da modello di mobilitazione".


Da: “ 70 chilometri dall’Italia” di Mehdi Tekaya /Global Voices Online
Edizioni ERETICA Stampa Alternativa 2011

UNA GENERAZIONE DI CYBERATTIVISTI
Nel contesto chiuso e repressivo che segue la Primavera democratica dei primi tre anni della presidenza di Ben Ali e in particolar modo nell'ultimo decennio, le voci critiche al regime si sono espresse prevalentemente su Internet. Le espressioni di malcontento che circolano in rete spesso non hanno legami con organizzazioni politiche, e non proven¬gono da membri di movimenti contrari al presidente: sono voci spontanee e dirette, di giovani, studenti o lavoratori che vogliono raccontare in forma di tweet, blog o attraverso le immagini, quello che avviene in Tunisia oggi. Un eclettico miscuglio di voci alle prese con un regime che
ha cercato di esercitare anche online lo stesso controllo poli¬ziesco da tempo applicato ai media tradizionali, cioè stam¬pa, radio e televisione.
Lo Stato ha cosi instaurato un quadro legislativo restrittivo della libertà d'espressione online a tutti i livelli (fornitori d'accesso, gestori di cyber-cafe, amministratori di siti e forum, ecc.). Oltre a queste normative ad hoc, è stato poi attivato un filtro dei contenuti grazie all'Agenzia Tunisina per Internet (ATI).
Per i tunisini che decidevano di impegnarsi in una critica del regime (benché slegata da forme di militanza politica attiva, ma finalizzata a raccontare anche in prima persona l'altra fac¬cia del regime, quella meno conosciuta fuori dai confini del¬la nazione) si è fatto quindi sempre più difficile trovare spa¬zi d'espressione. I costi e le conseguenze che i singoli citta¬dini impegnati in attività di cyber-attivismo hanno subito negli ultimi anni, spaziavano dalle difficoltà nel trovare un lavoro o seguire gli studi, agli arresti indiscriminati, pressio¬ni diffuse, problemi amministrativi.
Fino a poco tempo fa, la partecipazione online includeva sostanzialmente due categorie di utenti. Da una parte i “cyberdissidenti", che denunciavano apertamente le auto¬rità, e dall'altra i "navigatori sciolti" che non abbordavano i temi legati alla politica. Naturalmente questa divisione è andata via via attenuandosi, con la netta crescita dei blog e dell'uso diffuso dei social media.
Anche quei blogger che rifiutavano apertamente l'etichetta di dissidenti e oppositori, hanno cominciato a esprimersi cri¬ticamente verso il regime - pur se con una certa prudenza, evitando le critiche dirette verso il Partito-Stato, Ben Ali e la sua famiglia. Di pari passo, l'umorismo e la satira si sono fat¬ti assai presenti, fino a diventare un "vettore privilegiato del¬la contestazione".
Lo scorso anno, il ricercatore Romain Lecomte rilevava uno scambio intenso fra la diaspora e i cittadini digitali tunisini, grazie all'accesso libero a siti e blog internazionali da parte dei membri della diaspora e della critica ancorata nel quoti¬diano dei secondi: "Un va-e-vieni si produce, gli uni e gli altri s'informano mutualmente nello stesso spazio".
Se pur inizialmente la blogosfera è apparsa come lo spazio dominante, la contestazione si è spostata progressivamente sulle reti sociali. A tutt'oggi esistono in Tunisia oltre due milioni di account Facebook per una popolazione di poco più di 10 milioni di abitanti, mentre è cresciuta in maniera esponenziale la presenza di utenti Twitter. E come hanno rivelato gli ultimissimi eventi, è stato proprio l'ampio ricor¬so ai citizen media e agli strumenti di Internet (foto su Flickr, video su YouTube, tweets, pagine Facebook, attivismo hacker, e via di seguito) a costituire l'elemento portante di una dissidenza che abbraccia pressoché ogni settore della popolazione (inclusi i tunisini della diaspora). A sottolineare questi importanti sviluppi, che tra l'altro stan¬no avendo ripercussioni nell'intero mondo arabo, la secon¬da parte dell'ebook propone un'ampia serie di testimonian¬ze dirette e materiali autoprodotti ripresi direttamente dai vari ambiti digitali.


COSI’ CADE UN DITTATORE: La rivolta del gelsomino fino al 14 gennaio

Come abbiamo visto, la Tunisia rappresenta uno dei Paesi della costa-sud del Mediterraneo che negli ultimi cinquant’anni ha sviluppato una fra le economie più floride della zona. Dall'indipendenza dalla Francia ad oggi, i due presidenti Habib Bourguiba e Zine Ben Ali hanno cercato di mantenere un equilibrio fra le istanze dei Paesi arabi e i contatti con il mondo occiden¬tale. La Tunisia ha dato un'immagine di sé moderna e attiva: favorendo i commerci con l'Unione Europea, sviluppando rela¬zioni, incentivando aziende estere a lavorare nel proprio Paese. Anche in ambito sociale, i progressi sono stati numerosi: sono stati migliorati i servizi sanitari, la speranza di vita si avvici¬na di molto a quella dei Paesi occidentali, la donna ha diritto di voto attivo e passivo fin dall'instaurazione della Repubblica. La scuola è pubblica e aperta a tutti, la religione resta fuori dal intesto scolastico e dall'amministrazione della giustizia. Ma dietro le quinte, è sempre esistita una seconda Tunisia, una "grande zona d'ombra che la politica internazionale ha fìnto di non vedere. Una democrazia di facciata dove i partiti di opposizione sono esclusi, in cui, in cinquant'anni, si sono succeduti due soli presidenti (e il secondo ha scalzato il primo). Dove i diritti umani vengono ripetutamente violati con la scusa di dover difendere la nazione da movimenti estremisti islamici. La famiglia del presidente Ben Ali era radicata, direttamente o indirettamente, in tutte le maggiori attività economiche del Paese, banche e media compresi. La diffusione di qualsiasi infor¬mazione, non legata ai mezzi ufficiali, è stata ostacolata attra¬verso provvedimenti ad hoc, limitazioni e azioni di repressione contro i singoli cittadini non allineati. La situazione si è esasperata nel corso dell'ultimo decennio, fino a sfociare nell’ attuale 'rivolta del gelsomino', espressione riven¬dicata dal giornalista tunisino Zied El Han, che lavora per il quotidiano governativo "Essahafa".
Questa rivolta non è nata grazie a gruppi politici o istituzioni anti-governative, ma viene dalla piazza. Come durante le rivol¬te di Gasfa del 2008, nasce dal sentimento di malessere e dalla frustrazione del popolo tunisino, complice anche la sfavorevole congiuntura economica internazionale. Partecipano alla rivolta giovani nati e cresciuti sotto la presi¬denza di Ben Ali. Su Nawaat.org, un portale che riunisce diver¬se voci anti-governative in Tunisia, un ragazzo racconta come si sviluppa la paura, come cresce la frustrazione, come nasce la necessità di opporsi anche nei componenti della classe media:
Je fais partie de la nouvelle generation qui a vécu en Tunisie sous le règne absolu de Ben Ali. Au lycée, et au collège, on a toujours peur de parler politique: "Ill y a des rapporteurs partout" qu'on nous dit. Personne n 'ose en discuter en public. Tout le monde se méfie. (...) On vit. On ne vit pas, on pense vivre. On a envie de croire que tout va bien puisqu'on fait partie de la classe moyenne, mais on sait que si les cafés son pleins à craquer en journée, c'est que les chòmeurs y discutent foot. (...) Une jeunesse éduquée, qui en a marre, et quis'ap-prète a immoler tous les symboles de cette ancienne Tunisie autocratique, par une nouvelle revolution, la revolution du Jasmin, la vraie.
Il gelsomino, simbolo della Tunisia, onnipresente nelle campa¬gne di promozione del turismo, indica la purezza e la tolleran¬za di una rivoluzione che auspica libertà e democrazia, e denun¬cia l'autocrazia e la corruzione che dilagano nel Paese. Una rivolta che, proprio in questi giorni, si sta impegnando per portare una vera alternanza al potere, affinché i nomi soliti, conniven¬ti con la famiglia di Ben Ali, non prendano il posto di quelli pre¬cedenti, con il rischio che tutto cambi affinché nulla cambi. La cronologia che segue vuole raccontare i fatti degli ultimi mesi, prima e dopo la caduta di Ben Ali, fino al 30 gennaio 2011. Per seguire meglio e in contesto gli avvenimenti passati e futu¬ri, utile punto di partenza è il sito di Global Voices.
(30 gennaio 2011)

LA PRIMA FASE DELLA RIVOLTA DEL GELSOMINO

17 dicembre 2010: Mohamed Bouazizi, un giovane vendi¬tore ambulante di frutta e verdura, si immola dandosi fuoco a Sidi Bouzid, città del centro della Tunisia, per protestare contro la confìsca della sua merce.
19 dicembre 2010: prendono il via alcune rivolte sociali contro la disoccupazione e il carovita a Sidi Bouzid. Le manifestazioni aumentano di numero e consistenza, e la polizia fa uso di gas lacrimogeni. Vengono arrestate decine di persone.
22 dicembre 2010: Houcine Neji, un giovane di 24 anni, si uccide perché "non sopporta più la miseria, la disoccupazione” .
24 dicembre 2010: le sommosse popolari raggiungono la città di Bouziane, a 240 km a sud di Tunisi, dove un mani¬festante di 18 anni viene ucciso da un colpo di arma da fuo¬co al petto quando la polizia spara sui manifestanti.
27 dicembre 2010: il movimento di protesta si diffonde anche a Tunisi. Un migliaio di giovani laureati disoccupa¬ti manifestano per le strade della città e vengono dispersi a colpi di manganello. I testimoni parlano di una dozzina di feriti.
28 dicembre 2010: "Che una minoranza di estremisti e agi¬tatori (...) abbia fatto ricorso alla violenza e ai disordini (...) è inaccettabile", afferma il presidente Zine El Abidine Ben Ali nella sua prima apparizione televisiva dall'inizio degli avvenimenti.
29 dicembre 2010: il presidente Zine El Abidine Ben Ali effettua un parziale rimpasto di governo.
3 gennaio 2011: violenze a Salda e manifestazioni a Thala (nel centro-ovest del Paese) sono segnate da saccheggi e portano all'incendio dei palazzi ufficiali.
6 gennaio 2011: alcune migliaia di avvocati cominciano uno sciopero per denunciare la repressione poliziesca, men¬tre le manifestazioni continuano. La censura online si ina¬sprisce, molti cybernauti dissidenti vengono arrestati.
8-19 gennaio 2011: la classe media si unisce al movimen¬to. I disordini più sanguinosi hanno luogo a Kasserine, con 21 morti secondo le autorità, più di 50 secondo fonti sindacali. Avvengono scontri anche a Kairouan, nel centro del Paese.
10 gennaio 2011: il presidente Zine El Abidine Ben Ali interviene per la seconda volta in televisione e denuncia "atti terroristici" che imputa a "elementi stranieri". Promette la creazione di 300.000 posti di lavoro in due anni. Il governo tunisino dà ordine di chiudere tutte le scuole e le università del Paese fino a nuovo ordine.
11 gennaio 2011: gli scontri raggiungono la periferia di Tunisi. Samir Labidi, portavoce del governo, parla di 21 morti dall'inizio dei disordini. Secondo la Federazione Inter¬nazionale delle Leghe dei Diritti dell'uomo (FIDH), il numero di morti nei disordini in Tunisia ammonta ad alme¬no 35. Vengono chiuse le scuole e le università.
12 gennaio 2011: il primo ministro annuncia il siluramento del ministro degli Interni, la liberazione delle persone arrestate, con l'esclusione di quelle "implicate in atti di vandalismo" e un'inchiesta sulla corruzione. Nonostante questo, si succedono in tutto il Paese manifestazioni, con diversi morti fra i manifestanti. Tra di essi perde la vita un franco-tunisino a Douz, nel sud. Zine El Abidine Ben Ali silura il ministro degli Interni, Rafìk Belhaj Kacem. Viene decretato il coprifuoco nella capitale e nella sua periferia.
13 gennaio 2011: Ben Ali appare per la terza volta in televisione. Si impegna a lasciare il potere nel 2014 quando, in occasione delle elezioni presidenziali, non si ricandiderà. Promette inoltre libertà di stampa. Il suo intervento non calma gli animi e le manifestazioni continuano. Secondo la FIDH, gli sconti hanno causato almeno 66 morti dalla metà di dicembre.
14 gennaio 2011: migliaia di manifestanti si riuniscono a Tunisi e in provincia, al grido di "Ben Ali fuori". Gli scon¬tri tra gruppi di manifestanti e la polizia, in assetto anti¬sommossa, sono violenti. Ben Ali silura il governo e annun¬cia elezioni legislative anticipate entro sei mesi. Meno di un'ora dopo decreta lo stato d'emergenza e impone il copri¬fuoco in tutto il Paese. Verso le 16.45, ora italiana, il primo ministro Mohammed Ghannouchi annuncia che Ben Ali è temporaneamente impossibilitato a esercitare le sue funzio¬ni e dichiara di assumere la carica di presidente ad interim fìno alle elezioni anticipate. In serata, viene dato l'annuncio che Ben Ali, dopo ventiquattro anni al potere, ha lasciato il Paese.
15 gennaio 2011: l'Arabia Saudita conferma che poco pri¬ma di mezzanotte, ora italiana, Zine El Abidine Ben Ali e la sua famiglia, sono arrivati nel Paese per restare a tempo inde¬terminato. Non viene precisato se è presente anche Leila Tra¬belsi, moglie di Ben Ali. Termini la prima fase della rivolta
del gelsomino.