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Versi livornesi - Giorgio Caproni





lunedì 22 marzo 2004 legge Davide Ferrari
Nei Versi livornesi, Giorgio Caproni fonda una sua famiglia eterna, oltre il tempo ed oltre la morte. Rovescia la cronologia della vita della madre, del figlio, del padre, oltre i ruoli che la vita ci consegna. La madre diviene la fidanzata, il figlio diviene il padre, che può accompagnare, nel futuro, i suoi anni, quelli che il poeta non vivrà.
Caproni non si appella solo alla memoria, come succede certo in poesia, ma descrive con precisione, estrema attenzione "realistica", particolare dopo particolare, un tempo dell'anima. Solo in questo tempo ricreato si allarga e si rende comprensibile il nostro pensare, agire, amare.
Nei Versi livornesi, Caproni concentra sulla figura della morta madre "viva fra i vivi" tutta la ricerca della propria anima. 
Qui risiede l'attualità permanente, la "classicità" di Caproni, nel consegnarci un canzoniere filiale e familiare, che non vuole arrendersi alla caducità dell'uomo. Non cerca di ignorare la morte; al contrario, la affronta, con dolore lancinante ma con padronanza di sé, nel continuo della riflessione, della comprensione delle cose, dell'espressione creativa.
Aldo Capitini parlava di una "compresenza dei morti e dei viventi" a fondamento della cultura personale e collettiva. Ne parlava come di una forza agente della politica e della storia. Come di una più grande responsabilità, necessaria, non solo verso le generazioni future, ma verso l'identità nostra, il seme dell'umano, dove le generazioni non si disperdono ma continuano una loro crescita comune


Anima mia, sii brava
e va’ in cerca di lei.
Tu sai cosa darei
se la incontrassi per strada.

Giorgio Caproni 
è nato a Livorno, ma in Liguria ha vissuto a lungo, e ha saputo conoscerla profondamente. Nel 1922, quando si è trasferito con
la famiglia a Genova, aveva dieci anni. Appena diventato maestro ha trovato lavoro prima in montagna, in val Trebbia - nell'entroterra di
Genova - poi a Arenzano, sulla costa ligure. Infine ha lasciato la Liguria per Roma dove ha insegnato fino al 1973.
Tra le sue raccolte di poesia, ricordiamo: Come un'allegoria, Ballo a Fontanigorda, Finzioni, Cronistoria, Il Passaggio di Enea, Il seme del piangere, Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee , il "Terzo libro" e altre cose, Il muro della terra, Il franco Cacciatore, Il conte di Kevenhuller, Res amissa.
Le sue opere ora si possono trovare nelle raccolte Tutte le poesie e Genova di tutta la vita.

L'opera di Giorgio Caproni realizza una poesia che si fa sempre più musica, sempre più trillo al di là del significato, ma che, al tempo stesso, è poesia di immagini potenti, di strutture (anche allegoriche) ambiziose. Un alto tentativo di unificare la tradizione lirica con quella epica: Caproni, il più schivo tra i poeti del Novecento, vicino – in questo pudore estremo, che abbatte ogni facilità di scrittura – a Vittorio Sereni e, anche, ad Andrea Zanzotto, pure lontanissimo per molti versi da Caproni.


Genova città pulita.
Brezza e luce in salita.
Genova verticale,
vertigine, aria, scale

Di Giorgio Caproni Leggerò Ultima preghiera, dai Versi Livornesi a loro volta inseriti nella raccolta: Il seme del piangere

Il tema dominante è l’incontro con la figura della madre morta: in nitidi e struggenti versi, costruiti con abile semplicità e apparente immediata musicalità, viene rievocato un rapporto tra il poeta e la madre che tende alla sublimazione del tempo e dello spazio (...Saremo soli/e fidanzati...).
Il seme del piangere (citazione da Purgatorio. XXXI, 46) è stata edita da Garzanti nel 1959. All'interno di questa raccolta, che accoglie poesie scritte nel periodo 1950-58, Ultima preghiera fa parte, appunto, della sezione intitolata Versi livornesi che porta la dedica "A mia madre, Anna Picchi", l’Annina del testo.
Raccoglie ventidue componimenti di varia lunghezza (scritti negli anni 1954-58) tutti a lei dedicati.

Come è già stato notato da altri (G. Raboni nella sua introduzione all'antologia di Caproni, L'ultimo borgo, Milano, Rizzoli, 1980, p. 7), Ultima preghiera riecheggia uno dei testi più antichi della tradizione lirica italiana. Si tratta della famosa ballata di Guido Cavalcanti Perch'io no spero di tornar giammai di cui Caproni riprende non solo modi e cadenze ritmiche e prosodiche, ma anche elementi tematici.[6] Come nel caso della ballata di Cavalcanti, anche qui la situazione immaginata nella poesia è quella che potremmo chiamare "prima della partenza" oppure "istruzioni per il viaggio"; dove si dà ad una persona (in questo caso l'anima; nella ballata di Cavalcanti la "ballatetta leggera e piana") istruzioni e raccomandazioni prima della partenza. 

La "ballatetta" a cui l'io lirico si rivolge nel componimento di Cavalcanti è personificazione della poesia, artificio retorico che attribuisce concretezza, su un piano figurato e metaforico, alla parola, alla poesia. Il procedimento di Caproni è leggermente diverso. Qui è l'anima, l'elemento spirituale e immortale dell'uomo, che viene, diciamo così "despiritualizzata" e resa concreta, come se fosse veramente una persona in carne e ossa. In questo modo il viaggio dell'anima perde le sue connotazioni metafisico-religiose e acquista invece quelle di un viaggio reale e spaziale. L'anima è un anima "mortale", appartiene alla sfera dell'umano e non a quella dell'eterno, ma grazie all'elemento intertestuale, viene ad acquistare il ruolo della "ballatetta" di Cavalcanti; diventa sinonimo di poesia. L'unica forza laica che permetta la vita oltre la morte.


Nell’Ultima preghiera di Caproni, già nell'incipit vengono introdotte le due classiche istanze liriche: un io e un tu. Ma in questo caso si tratta di due istanze che appartengono allo stesso soggetto: "Anima mia, [...] ti prego". Il soggetto lirico è sdoppiato, diviso. La poesia si presenta come un monologo: l'io lirico si rivolge alla propria anima perché metta in atto un suo piano (v. 40). Gli oggetti e gli ambienti che circondano l'anima sono prosaici, quotidiani. L'anima assume la forma di una persona, le sono attribuite azioni (va in bicicletta!) e atteggiamenti (fuma!) che non siamo certo abituati a collegare a quella che è considerata la parte spirituale e nobile dell'uomo. Qui invece, in un linguaggio popolare e dimesso ("fa' in fretta"; "ma corri"), come se fosse una persona fidata, all'anima è affidato il compito di fare un viaggio.

Anche se in realtà sono due parti dello stesso soggetto, l'anima e colui che la manda hanno nel testo contrastanti qualità. L'anima è contrassegnata da elementi che appartengono alla sfera dell'attività e del movimento ("fa' in fretta" v. 1; "corri" v. 3; "pedala, vola" v. 18, mentre l'io, come verrà detto più avanti nella poesia (v. 70), è vecchio e stanco, impossibilitato ad agire. Egli non può quindi realizzare il suo piano se non attraverso l'anima.

Il viaggio che l'anima deve intraprendere è rappresentato come concretamente reale. Si tratta di arrivare a Livorno prima dell'alba (v. 7-8). Qui l'anima dovrà aspettare qualcuno: una "figurina netta" (v. 15) che dovrà uscire da un portone (l'io ha scordato quale v. 49-50). Questo viaggio attraverso la notte con l'arrivo alla meta all'alba sembra essere qualcosa di estremamente importante per l'io e diventa un po' il ritornello della poesia (v. 18; 48; 58).

L'io sembra essere molto preoccupato dai possibili ostacoli che la sua anima incontrerà sul cammino e l'ammonisce a non fermarsi per la strada (v. 5), a non farsi distrarre (v. 20-22) e soprattutto a non lasciarsi "rapire" dal "bianco vento" che fanno le ragazze livornesi, "aperte [...] grandi e vive", descritte in una lunga strofa con immagini concretamente fisiche e implicitamente erotiche (v. 25-36). L'anima - come un uomo in carne e ossa - non è dunque insensibile al fascino femminile.

Solo se l'anima non si lascerà sviare da tutti questi ostacoli il piano dell'io si avvererà (v. 37-40). Qui, in fine di verso e a metà esatta del componimento, vengono fornite al lettore due importanti informazioni. Veniamo infatti a sapere chi è questa persona che l'anima deve incontrare e che essa non è più tra i vivi (v. 41-44):



ed io un altra volta Annina,

di tutte la più mattutina,

vedrei anche a te sfuggita,

ahimè, come già alla vita.



Quella che era stata anticipata al v. 15 come "figurina netta" si rivela dunque essere veramente la persona che il lettore si aspetta, una figura femminile, denominata con un nome proprio, anch'essa al diminutivo: "Annina"(questo è anche l'unico volta in tutto il componimento in cui compare questo nome).

L'io rivolge nuove ripetute raccomandazioni all'anima (l'imperativo "ricordati", ripetuto due volte), poi le spiega dove dovrà cercare Annina (v. 51-52) e come sarà vestita. Essa è descritta in modo molto preciso (v. 53-56):



porterà uno scialletto

nero, e una gonna verde.

Terrà stretto sul petto

il borsellino, [...]



In questo modo l'anima non si potrà sbagliare (v. 59) quando la vedrà. Le istruzioni e le raccomandazioni dell'io all'anima diventano sempre più minuziose e ansiose ("seguila prudentemente" v. 61; "con la mente all'erta" v. 61-62; "circospetta [...] accostati" v. 63-65); mentre per la prima volta egli descrive il suo proprio stato d'animo: quello di un vecchio stanco e angosciato (v. 66-70). Finchè, un po' a sorpresa, nell'ultima strofa della poesia viene rivelato cosa l'anima dovrà fare una volta avvicinata Annina: cingerle la vita e sussurrarle poche parole (v. 80-83):



Dille chi ti ha mandato:

suo figlio, il suo fidanzato.

D'altro non ti richiedo.

Poi va' pure in congedo.


Il componimento andrebbe quindi più dettagliatamente analizzato nei suoi rapporti con il tutto (l'intera sezione) e con le singole parti (gli altri componimenti) che compongono il macrotesto. Per esempio, in quello che è stato definito "il più bel canzoniere filiale della nostra letteratura moderna" [1] Ultima preghiera occupa il penultimo posto (seguita solo da una breve poesia di quattro versi, intitolata non a caso Iscrizione [2]), mentre l'intera sezione si apre invece con un componimento, Preghiera che, come mostra il titolo stesso, contiene precisi riferimenti tematici e formali, con il componimento oggetto della nostra attenzione. La prima strofa di Preghiera. suona così :

Anima mia, leggera

va' a Livorno, ti prego.

E con la tua candela

timida, di nottetempo

fa' un giro; e, se n'hai il tempo,

perlustra e scruta, e scrivi

se per caso Anna Picchi

è ancora viva tra i vivi.


Come si può vedere anche qui la situazione è quella di un viaggio notturno a Livorno alla ricerca della madre (qui, all'inizio dell'intera sezione chiamata con nome e cognome per facilitare a chi legge l'identificazione dell'attante principale dell'intera sezione con la dedicataria).

Immediatamente percepibili sono anche gli altri punti di contatto tra le due poesie; a partire dal ritmo e dalla struttura metrico-prosodica quasi identici (nella strofa seguente ricorre la stessa parola-rima "netta", qui in rima con "camicetta", che si ritrova in Ultima preghiera in rima con "aspetta") fino a somiglianze di carattere tematico-stilistico: l'anima personificata con un suo attributo (qui la candela invece che la bicicletta), lo stesso registro linguistico quotidiano e dimesso ("fa un giro"), i verbi ("perlustra" e “scruta") appartenenti anche qui al campo semantico del vedere[3] e che, con le loro connotazioni del "guardare attentamente", "investigare", "esaminare palmo a palmo", rafforzano e sottolineano l'importanza per l'io del compito affidato all'anima.

Abbiamo già visto che l'anima è fornita di attributi concretamenti umani (va in bicicletta, fuma, le piacciono le donne) e che l'io lirico (identico al poeta stesso) le parla familiarmente come ad un amico a cui si chiede un piacere. Abbiamo anche visto che, a differenza del poeta che è stanco e vecchio, l'anima possiede caratteristiche di extratemporalità, unite a giovinezza e freschezza che la rendono l'alter ego giovanile del poeta. L'anima è il poeta giovane che "parte" per un viaggio impossibile; un viaggio all'indietro nel tempo, oltre la morte. Non si tratta solo di raggiungere Livorno, ma la Livorno "mitica" dell'infanzia del poeta (dove ha trascorso i primi dieci anni della sua vita prima di trasferirsi a Genova) e anche la madre che ci viene incontro non solo in questa poesia, ma in quasi tutti i componimenti di Versi livornesi, è una donna giovane, l'Annina fidanzata e giovane sposa.

Caproni capovolge la situazione tradizionale del rapporto genitore-figlio e rappresenta non il ricordo della vecchia madre da parte del figlio adulto (come fa per esempio Ungaretti in una sua famosa poesia), ma un figlio vecchio e stanco che va alla ricerca della madre giovane attraverso il go between della propria anima che altro non è che una proiezione del proprio desiderio di tornare anche lui giovane al tempo in cui era giovane sua madre. Solo così gli è possibile compiere questo viaggio e ridurre il tempo ormai irrimediabilmente passato a uno spazio concreto e misurabile che si può coprire in una notte. Ciò che permette questo transfert da tempo a spazio è appunto la scissione del poeta in due parti. 

Avviene in Ultima Preghiera (e in Versi livornesi) che mentre i vivi invecchiano, i morti ringiovaniscono. E' come se, grazie alla deformazione della dimensione spazio-temporale, la morte producesse un continuo ringiovanimento della persona cara che è morta; essa viene così a vivere una vita più essenziale e originaria di quella dei vivi, che a loro volta invecchiano e si avvicinano alla morte. Più il poeta si allontana dalla sua infanzia e diventa vecchio e più l'immagine della madre si fissa in lui in quella di una giovane donna; di una "figurina" (nella descrizione di Annina predominano i diminuitivi e i vezzeggiativi) che diventa immagine mitica della gioventù e della vita (Annina appare nelle poesie di Versi livornesi quasi sempre all'alba, metafora classica dello sbocciare della giovinezza, e al suo apparire Livorno si apre alla vita).

In questa dimensione onirica, in questo mondo mitico dell'infanzia e di uno spazio al di fuori del tempo, il poeta può diventare il "fidanzato" della madre e quindi il proprio padre così come in una poesia posteriore del Muro della terra (1964-75) intitolata A mio figlio Attilio Mauro che ha il nome di mio padre può trasformarsi nel figlio di suo figlio:

Portami con te lontano

....lontano...

nel tuo futuro.

Diventa mio padre,

portami

per la mano.[4]


La poesia sembra operare qui come una di quelle"macchine del tempo" che in innumerevoli racconti di fantascienza annullano i confini tra le dimensioni e permettono di muoversi avanti e indietro nel tempo e nello spazio.


Sul piano formale la poesia si caratterizza per una ripresa piuttosto marcata, insolita in un poeta moderno, degli strumenti metrici, ritmici e prosodici della tradizione. E tuttavia non si tratta di una vera e propria forma "chiusa" classica.

Ultima preghiera è composta di 11 strofe di varia lunghezza, i versi (83 in tutto) sono prevalentemente settenari a cui però si alternano versi un po' più lunghi e un po' più brevi, senza troppo rispetto per gli schemi. Le rime, baciate (AA-BB) e alternate (AB-AB), sono tra le più comuni della tradizione lirica italiana (Per esempio rime in -are: parlare-pedalare; tardare-albeggiare-bastare-sviare e in -ire: finire-rapire; apparire-fallire). Alcune rime sono imperfette. Tutti questi fenomeni, insieme ad assonanze, consonanze e allitterazioni,[5] molto ricorrenti nel testo, testimoniano dell'importanza attribuita da Caproni all'elemento fonico e musicale del testo. L'effetto è quello di una poesia di forte musicalità e semplicità, di ascendenza ottocentesca. C'è in questa poesia un tono popolare che ben si accorda alla sintassi vicina al parlato, al lessico quotidiano e all'ambientazione realistica della poesia. Verrebbe quasi di dire che si accorda anche al personaggio centrale del testo, Annina; anche lei semplice, dimessa e modesta come la poesia stessa.

L'uso dei versi brevi da canzonetta e ballata - tipiche strutture metriche popolareggianti - le spezzature molto forti nel fraseggio ritmico del verso rappresentate dagli enjambements (alcuni molto forti), i molti incisi tra parentesi che provocano improvvise aperture e dissonanze dimostrano tuttavia che ci troviamo di fronte ad un poeta assai più "costruito" di quanto sembri, che "riecheggia" i modi della poesia popolare, con rime semplici e un fraseggio molto ritmico e musicale. Siamo insomma in presenza di un poeta colto con una forte componente intertestuale.

Leonardo Cecchini


Ultima preghiera


Anima mia, fa' in fretta.

Ti presto la bicicletta,

ma corri. E con la gente

(ti prego, sii prudente)

non ti fermare a parlare 5

smettendo di pedalare.



Arriverai a Livorno

vedrai, prima di giorno.

Non ci sarà nessuno

ancora, ma uno 10

per uno guarda chi esce

da ogni portone, e aspetta

(mentre odora di pesce

e di notte il selciato)

la figurina netta, 15

nel buio, volta al mercato.



Io so che non potrà tardare

oltre quel primo albeggiare.

Pedala, vola. E bada

(un nulla potrebbe bastare) 20

di non lasciarti sviare

da un'altra, sulla stessa strada.



Livorno, come aggiorna,

col vento una torma

popola di ragazze 25

aperte come le sue piazze.

Ragazze grandi e vive

ma, attenta!, così sensitive

di reni (ragazze che hanno,

si dice, una dolcezza 30

tale nel petto, e tale

energia nella stretta)

che, se dovessi arrivare

col bianco vento che fanno,

so bene che andrebbe a finire 35

che ti lasceresti rapire.




Anima mia, non aspettare,

no, il loro apparire.

Faresti così fallire

con dolore il mio piano, 40

e io un'altra volta Annina,

di tutte la più mattutina,

vedrei anche a te sfuggita,

ahimè, come già alla vita.



Ricòrdati perché ti mando; 45

altro non ti raccomando.

Ricordati che ti dovrà apparire

prima di giorno, e spia

(giacché, non so più come,

ho scordato il portone) 50

da un capo all'altro la via,

da Cors'Amedeo al Cisterone.



Porterà uno scialletto

nero, e una gonna verde.

Terrà stretto sul petto 55

il borsellino, e d'erbe

già sapendo e di mare

rinfrescato il mattino,

non ti potrai sbagliare

vedendola attraversare. 60



Seguila prudentemente,

allora, e con la mente

all'erta. E, circospetta,

buttata la sigaretta,

accòstati a lei soltanto, 65

anima, quando il mio pianto

sentirai che di piombo

è diventato in fondo

al mio cuore lontano.


Anche se io, così vecchio, 70

non potrò darti una mano,

tu mórmorale all'orecchio

(più lieve del mio sospiro,

messole un braccio in giro

alla vita) in un soffio 75

ciò ch'io e il mio rimorso,

pur parlassimo piano,

non le potremmo mai dire

senza vederla arrossire.



Dille chi ti ha mandato: 80

suo figlio, il suo fidanzato.

D'altro non ti richiedo.

Poi, va' pure in congedo.



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[1] G. Pampaloni, Nota in: G. Caproni, Poesie (1932-1986), Garzanti, Milano 1989, p. 816.

[2] Che suona con chiaro riferimento alla rima "più antica difficile del mondo" di sabiana memoria: "Freschi come i bicchieri / furono i suoi pensieri. / Per lei torni in onore / la rima in cuore e amore."

[3] In Ultima preghiera sono predominanti i verbi che appartengono ai due campi semantici della vista ("guarda" v. 11; "spia" v. 48) e dell'odorato ("odora" v. 13; "e d'erbe / già sapendo e di mare / rinfrescato il mattino" v. 55-57); quest'ultimo usato esclusivamente in riferimento alla città di Livorno.

[4] Lo stesso avviene nella poesia Kodak, dalla raccolta Erba francese (1978), dove troviamo "Mia figlia come una fidanzata". Il poeta francese Andre Frénaud (di cui Caproni è stato traduttore) esprime qualcosa di simile in un Tombeau de mon père (datato 1939-52): "Mon père, depuis que tu es mort / c'est toi qui es devenu mon petit enfant" in Il n'y pas de paradis, Gallimard, Paris 1967, pgg. 195-200.

[5] Vedi per esempio aggiorna-torma; dolcezza-stretta; tale-arrivare; come-portone; soffio-rimorso; fermare-parlare-pedalare; arriverai-vedrai; LivORNO come aggiORNA-tORmA; vIVE-sensItIVE. Importante l'alliterazione tra ANImA mIA (tre volte nel testo) e ANNINA (una sola volta).

[6] Cfr. per esempio "ma uno / per uno guarda chi esce" v. 10-11 di Ultima preghiera con "ma guarda che persona non ti miri" v. 9 della ballata di Cavalcanti. Inoltre si trovano nei due testi parole-rima identiche (mando-raccomando) ed alcune parole-chiave come anima, mente, cuore, piangere, congedo.